Fino a quando l’azienda sanitaria non avrà stilato in via definitiva l’elenco dei beneficiari degli assegni di cura, non sarà possibile accogliere la richiesta delle famiglie salentine, che hanno fatto ricorso al tribunale amministrativo perché sospenda il provvedimento regionale, in base al quale il governo elargisce gli assegni. Il Consiglio di Stato infatti, non si è voluto esprimere nel merito, in attesa che l’Asl leccese termini di valutare i singoli casi e quindi distribuire i 1100 euro mensili, secondo criteri di priorità. Solo allora il Consiglio di Stato si pronuncerà nel merito, valutando se effettivamente, come dicono le famiglie, ci sono delle discriminazioni con conseguenti danni all’assistenza, oppure no. Quello che una decina di familiari di persone gravemente non autosufficienti, contestano al governo barese e di rimando all’azienda sanitaria, é il criterio adottato per distribuire l’assegno di cura, un criterio legato al reddito, creando una disparità tra persone ammalate, nel riconoscimento di un diritto sancito dallo Stato, a tutti coloro che risultano gravemente non autosufficienti. Il legislatore infatti, con la legge n° 296 del 2006, ha creato un fondo per le non autosufficienze presso il ministero della solidarietà, di 400 milioni di euro, per garantire ai più deboli non autonomi, i LEA, ovvero quelle prestazioni sanitarie essenziali e quindi obbligatorie, cosicché ogni anno vengono stanziate delle somme alle singole regioni, chiamate ad applicare la normativa. Nel 2016 arrivano dal fondo nazionale per non le autosufficienze, 25 milioni e 623 mila euro nelle casse pugliesi, che dovrebbero essere distribuiti a circa 9000 persone ammalate così gravemente, da non essere autosufficienti e che richiedono assistenza a domicilio, tradotto sarebbero 2.777 euro, che ogni ammalato deve farsi bastare in un anno. Una somma ridicola che si riduce a 232 euro al mese, a meno che non si riduca la platea dei beneficiari, si arriverebbe a circa 2000 persone, escludendone 7000, per dare loro l’importo stabilito di 1100 euro mensili. Una coperta troppo corta come aveva detto già l’anno scorso, il compianto assessore regionale al welfare Totò Negro. La Puglia però ribadisce nella delibera n°83 del 2017, che i beneficiari dell’assegno sono tutti coloro che hanno un’indennità di accompagnamento e almeno una delle condizioni descritte nel decreto ministeriale nell’articolo 3, ovvero: persone in condizioni di coma, stato vegetativo o di minima coscienza, persone dipendenti da ventilazione meccanica assistita, persone con grave demenza o con lesioni spinali, cittadini con una grave compromissione motoria da patologia neurologica o muscolare, persone con deprivazione dei sensi (vista e udito) o con gravissima disabilità comportamentale, come il disturbo dello spettro autistico, con ritardo mentale e chiunque si trovi in una condizione di dipendenza vitale. Sono persone ammalate da patologie rare, sono cittadini inchiodati sul letto per la sla, sono quelle tracheostomizzate o con la peg per nutrirsi artificialmente, non autosufficienti significa spesso con respirazione artificiale, persone che richiedono assistenza a casa 24 ore al giorno, alle quali il sistema sanitario però non riesce a rispondere come dovrebbe, caricando l’assistenza sui familiari. Servono infermieri, badanti, apparecchi respiratori, farmaci, presidi sanitari, integratori, e chi più ne più ne metta. Per questo nasce il fondo delle non autosufficienze, per coprire i costi dell’assistenza socio – sanitaria, naturalmente il ministero stabilisce dei criteri di assegnazione, in base alla gravità delle patologie, riconoscendo la priorità ai casi più gravi, secondo scale di valutazioni scientifiche. La regione Puglia però, accanto a questo criterio, a fronte delle risorse insufficienti rispetto alle domande, adotta una propria griglia di valutazione, basata sulla componente reddituale dell’ISEE e sulle condizioni lavorative dei componenti familiari dell’ammalato. Ciò vuol dire che una persona come Stefania, una ragazza di 32 anni, colpita da una grave malattia rara, la ceroidolipofuscinosi, che vive attraverso l’alimentazione artificiale, viene ventilata 24 ore al giorno ed é attaccata al respiratore perché non respira autonomamente, é tracheostomizzata e quindi impossibilitata a parlare e non vede a causa della malattia, ebbene non potrà ricevere l’assegno di cura di 1100 euro al mese, perché ha i genitori che l’assistono e che hanno un loro reddito proveniente dalla pensione, che li mette in fondo alla graduatoria, rispetto a chi invece, ha una condizione economica più svantaggiosa, ma che potrebbe avere una non autosufficienza meno grave rispetto a lei, come per esempio la cecità. “In questo modo – spiega Fiorella D’Ettorre, legale insieme all’avvocato Stefano Miglietta, delle famiglie che rischiano di esser escluse dall’assegno di cura – il criterio adottato dalla Regione Puglia, per distribuire gli assegni, è un criterio applicato a categorie disomogenee, sarebbe più di buon senso – dice l’avvocatessa – se la condizione economica venisse presa in considerazione a parità di non autosufficienza”, per cui Stefania che é in stato vegetativo, sarebbe messa a confronto con un suo pari e non per esempio con un non vedente, come invece di fatto sta avvenendo. Eppure, nella stessa delibera regionale, è scritto che l’introduzione del criterio di priorità nell’ammissione dell’assegno di cura, é lungi dal voler discriminare malati che si trovano nelle medesime condizioni di gravissima non autosufficienza. Tutto l’opposto di quanto accade realmente.
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