“Gabriele ha 22 anni e per 21, non si è mai dormito serenamente”, così racconta sua madre: “non si dormiva né di giorno, né di notte, si facevano i turni perché, come un rituale, Gabriele si svegliava alle due del mattino, io e mio marito lo trovavamo seduto sul letto che dondolava avanti e indietro.
Abbiamo imparato a conoscere tutto di nostro figlio: il muovere avanti e indietro le porte, le sedie sbattute con violenza a terra, la zanzariera scardinata e fatta volare dal balcone, i lampadari distrutti in mille pezzi” “Una vita di inferno – prosegue la mamma – finita tre anni fa, quando alle soglie dei 60 anni, io e mio marito abbiamo lasciato Taranto, la nostra città natale, dicendo addio agli amici, ai parenti che avevamo perso da tempo, al lavoro dal quale mi sono messa in aspettativa, addio alla nostra casa, lasciata con i segni e le ferite di chi prova rabbia per non riuscire a comunicare col mondo esterno, di chi resta isolato perché non capito o perché temuto.”
Gabriele oggi è un ragazzo di 23 anni, soffre di autismo e come lui tanti altri. Sino a tre anni fa, prima di approdare a Matino, nel centro “Amici di Nico”, ha vissuto con i suoi genitori al margine della società, una società che li ha costretti ad isolarsi più dell’autismo stesso. Gabriele era “ il bambino muto”, “un po’ pazzo”, “che non si capisce che voleva”, era il “diverso” da tutti gli altri .
“Anche noi genitori a volte ci sentiamo dei diversi – spiega un papà di una ragazzina autistica anche lei a Matino – succede quando andiamo all’Asl o al Comune per chiedere con insistenza i servizi necessari per i nostri ragazzi, che non sempre ci sono per mancanza di soldi, di personale o semplicemente per mancanza di conoscenza.”
“Già la conoscenza, è tutto lì – aggiunge Giovanna, mamma di Gianluigi, 13 anni, anche lui affetto dal disturbo dello spettro autistico – parte tutto dall’informazione e dalla volontà di conoscere questa malattia e questi ragazzi, emarginati persino da chi se ne dovrebbe occupare maggiormente. Pensare che io mi sono sentita dire dal personale di una struttura specializzata nei disturbi dello sviluppo, che mio figlio di 3 anni, non poteva fare logopedia fino a quando non si sarebbe deciso a parlare! Peccato che lui deve fare logopedia proprio perché non parla a causa dell’autismo.” Sembra uno scherzo, purtroppo invece è la triste realtà.
Giovanna ha ragione, é proprio la mancanza di conoscenza che spesso determina il rifiuto, il disprezzo verso chi è diverso.
“Ma poi – si chiede Giovanna – diverso da chi e da cosa? Da ciò a cui si è abituati, diverso da tutto quanto già conosciamo e l’autismo si conosce ancora troppo poco. Non è la malattia che fa sentire diverso mio figlio – dice la donna – ma è la signora che incontro al supermercato e lo guarda con disprezzo nel vederlo dimenarsi e urlare, perché magari non sopporta la fila alla cassa”
“Sono i funzionari del provveditorato – aggiunge Tonino, papà di Piero – che alla mia richiesta di mantenere negli anni scolastici, lo stesso insegnante di sostegno per Piero, fanno spallucce perché non possono “accontentarmi, bisogna, dicono, attenersi alla graduatoria dei docenti.”
“Sono persino la vergogna e la paura di una madre, che non vuole vedere l’autismo del proprio figlio – dice Giovanna –. Conosco un papà che non sa come fare perché sua moglie non vuole rivolgersi ad alcun centro o specialista, per far valutare il proprio bambino, che ha comportamenti tipici dell’autismo. Più tardi si interviene, peggio sarà per il piccolo. E’ la non accettazione della madre, di qualcosa che non conosce, che rende tutto difficile. Neanche io, sapevo cosa fosse l’autismo, prima di partorire il mio secondogenito – aggiunge ancora Giovanna – Dopo aver trascorso un periodo in cui piangevo, mi domandavo perché proprio a me, ho capito che dovevo innanzi tutto documentarmi per sapere cosa potessi fare per il mio Gianluigi. Ho lottato strenuamente per dieci lunghissimi anni .”
Annuisce Lory , mamma di Elisa, che ricorda quando, per un intero giorno, la sua bambina di 4 anni, é rimasta senza bere, perché incapace di chiedere dell’acqua. Quel giorno se lo ricorda bene anche il papà della piccola, che inizialmente non vedeva la malattia della figlia, attribuendo alla madre un’eccessiva apprensione, fino a quando rientrato a casa dal lavoro, ha visto la moglie disperata, che si buttava ai suoi piedi urlandogli di spendere tutto quanto avevano, per aiutare la loro bambina.
“L’autismo non é solo quello che abbiamo conosciuto nel film Rain Man, quella è forse è la parte bella della malattia – dice Angelica – l’autismo è anche e soprattutto tutte le volte che ho dovuto pulire muri e soffitti di casa, imbrattati di cacca da mio figlio che ci giocava.”
Questi ragazzi sono come bombe ad orologeria, sul più bello esplodono in maniera quasi bestiale, violenta. Come Piero, che un’estate fa, ha sferrato un calcio alla schiena a suo padre. “Lo abbracciavo forte – ricorda il genitore – eravamo su una spiaggia del Salento, lui voleva semplicemente farsi una foto con una bambina, ma la madre ha negato alla figlia quella fotografia, aveva paura della “stranezza” di Piero, di quella sua aria stralunata, un po’ troppo sognante. Si è scatenata la reazione di Piero che ha cominciato a urlare, mentre lo abbracciavo forte per calmarlo e convincerlo che non poteva fare quello che desiderava, lui mi ha sferrato il calcio.”
Bisognerebbe imparare a vivere bene nella diversità, cominciando da noi genitori, educando i nostri figli, facendo leva sulle istituzioni, che non possono intervenire saggiamente, se non sanno cosa sia realmente l’autismo. Su questa patologia si sa ancora poco. Ecco perché bisogna informare e formare a 360 gradi: dalle famiglie, alla scuola, alle Asl, fino a quando, l’autismo ci diventerà familiare e impareremo a conoscere questi ragazzi, allora forse, non si farà più caso alla diversità.
“Io – riflette ancora Giovanna – come tante mamme non riesco a vedere mio figlio separato dall’autismo, che è parte essenziale della sua personalità. Mio marito invece sostiene che è la malattia che si è impossessato di lui, ma per me non è così, sarebbe un’altra persona. Va rispettato così com’è, autistico: con la parte bella e non, bisogna solo conoscerlo. E’ dalla conoscenza che nasce la capacità di andare verso l’altro, accoglierlo senza paura, questo é l’amore.”
Invece le famiglie sono lasciate sole. “Al ristorante ti guardano strano, perché tua figlia autistica canta, per calmare la sue frustrazioni e allora dopo una, due, tre volte, non ci vai più –aggiunge Clara – Così non vai più al parco, perché i genitori degli altri bambini non lasciano giocare i figli con la tua. Hanno paura di lei. Senza rendertene conto, diventi anche tu autistica: smetti di mangiare una pizza con gli amici, che inventano mille scuse perché c’è la tua bambina, esci sempre meno, lasci il lavoro perché i colleghi o il tuo capo non capisce sino in fondo le tue assenze, fai la spesa quando tua figlia non c’é. Non fai più una passeggiata con tuo marito.”
Si vive come normale, una vita che in realtà non lo é. Chiusi per la paura e l’ignoranza degli altri. Non sono le rinunce però a far sentire questi genitori dei diversi,. “Ci si abitua a tutto” – dice Giovanna – che si è abituata persino alla malattia che ha combattuto dopo chemioterapie invalidanti. “Il cancro è stato per me una passeggiata – dice – il mio dolore più grande l’ avevo già avuto : quello di mio figlio.
Oggi mi sento una mamma fortunata, assaporo momento per momento, vivo delle piccole cose, del sorriso del mio ragazzo, che oggi ha fatto tanti progressi nel centro di Matino “Amici di Nico”. Nuota, adora la piscina, ha cominciato a parlare, anche se poco, ma ha iniziato ad uscire dal silenzio assordante. Questa per me è una vittoria grande e sono serena, perché ho trovato un equilibrio, grazie ad un centro come quello di Matino”, “che non é una gabbia, né un parcheggio –aggiunge il papà di Piero – ma una famiglia allargata, dove si lavora tanto sull’integrazione famiglia, scuola e centro riabilitativo
“Amici di Nico” é un primo passo per recuperare il terreno perso nei confronti di queste famiglie e dei loro ragazzi “un po’ così”, “un po’ per i fatti loro”, “un po’ inspiegabili” e così via con tutte le approssimate e superficiali definizioni, di un problema di cui non si conosce del tutto la dimensione. Ma l’ignoranza genera paura e questa la diversità. Non è un caso invece che a Matino si riesce a vivere bene nella diversità, perché qui nel centro l’autismo si conosce davvero. Chi l’ha creato, Maria Antonietta, è una mamma che ha vissuto sulla propria pelle, l’autismo di suo figlio Nico.
“Definiamo prima di tutto obiettivi sensati per i nostri ragazzi – spiega la dottoressa Giovanna Di Carlo, psicologa e psicoterapeuta, nel centro “Amici di Nico – Dopo di ché, c’è una presa in carico del ragazzo o bambino che viene seguito ogni giorno a 360 gradi, vale a dire con interventi riabilitativi che non si limitato ai tre quarti d’ora di logopedia e psicomotricità, come propongono le nostre Asl pugliesi, bensì con una serie di trattamenti globali che rispondono ad un disturbo molto più complesso, che comprende problemi di comportamento, di apprendimento, relazionali, non soltanto disturbi del linguaggio e del movimento.
Noi di “Amici di Nico” – ha detto ancora la Di Carlo – stiamo davvero cercando di coinvolgere tutti gli attori, disegnando dei percorsi di collaborazione continuativa, soprattutto con la scuola. Non è sempre facile, troviamo scuole restie al dialogo, perché sono convinte che l’insegnante debba cavarsela da solo, perché la didattica é l’ambito di sua competenza. Tuttavia negli ultimi anni, sempre più sono gli istituti scolastici ben contenti di collaborare con noi, in un’ottica davvero di aiuto reciproco e formazione sul campo. Si perché, se autorizzati, noi operatori, andiamo anche in classe del bambino autistico, per vedere insieme all’insegnante l’approccio migliore per lui.
“Questo per me è un esempio di accoglienza vera – riflette la psicoterapeuta – perché l’insegnante di sostegno spesso è una figura motivata nella sua attività, solo per l’accumulo del punteggio, quando invece troviamo la voglia di conoscere meglio l’autismo e mettersi a disposizione del nostro centro e del ragazzo autistico, per capire come aiutarlo, bhè allora significa che quella docente, ha buttato giù ogni barriera, per proiettarsi verso il suo studente disabile.”
L’aspetto più bello è quando questa accoglienza si estende poi nella classe, nella scuola intera del ragazzo autistico. Come avvenuto all’istituto tecnico professionale Lanoce di Maglie, dove alcuni studenti, hanno frequentato l’autunno scorso, insieme ai coetanei autistici, un stage presso delle aziende di moda del sud Salento, realizzando un vero e proprio marchio di abbigliamento: CHANGELING. Tutto è nato dalla splendida idea di Maria Antonietta che ha messo insieme competenza tecnico – artistica degli studenti del Lanoce, con l’estro dei suoi ragazzi autistici. Il risultato è stato straordinario: un’integrazione sociale perfetta tra i ragazzi, un lavoro di disegno da parte dei giovani autistici, riprodotto dai coetanei di Maglie, su delle t-shirt, realizzando veri e propri prototipi da presentare ad aziende di abbigliamento.
Un lavoro che ha dimostrato come autistici e non, possono misurarsi sul campo lavorativo insieme, con rispetto. Un’occasione per i ragazzi più fragili, per vivere la vita più dignitosamente e in modo più integrato, con una visione al futuro, ma un’occasione anche per gli studenti del Lanoce, che hanno avuto modo di conoscere, capire un mondo diverso, completamente nuovo, dal quale si può attingere tanto.
Qualcuno diceva: il mondo è bello perché è vario. Basta solo conoscerlo.
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