Prende sempre più piede la pet nella diagnosi delle demenze, in particolare dell’Alzheimer. “Grazie ad uno specifico radiofarmaco, il VIZAMYL da poco messo in commercio – spiega il dottor Marco Pisciotta specialista in medicina nucleare – è possibile attraverso la pet, individuare le tipiche lesioni dell’Alzheimer nel paziente, prima ancora che la malattia si manifesti in maniera visibile con i classici sintomi.”
La pet infatti, é un grande macchinario radiologico che consente, una volta iniettato in vena il radiofarmaco, di avere immagini precise sull’eventuale presenza di ammassi di beta amiloide, sostanza proteica che si accumula nel cervello, nei pazienti con Alzheimer, distruggendo lentamente i legami tra le sinapsi cerebrali. Il radiofarmaco iniettato, é in grado di legarsi alle molecole della beta amiloide, dando quindi informazioni sulla sua presenza o meno. Lo specialista quindi, potrà con la scansione della pet, avere le immagini che mostrano le zone tipiche del cervello in cui si deposita la beta amiloide, ovvero l’area dei lobi frontali(la parte più estesa del cervello, responsabile di tante funzioni, come quella motoria, del linguaggio, la funzione di risolvere problemi), il precuneo (l’area del cervello interessata alla memoria episodica, all’elaborazione visuale-spaziale, alla riflessione su se stessi e agli aspetti della coscienza), il cingolato posteriore (che elabora i pensieri, zona che avrebbe un ruolo nella memoria e nel recupero della coscienza e del riconoscimento del dolore), nei lobi parietali (con funzione prevalentemente sensitiva) e in sede temporo parietale.
Quando lo specialista vede in queste aree un maggior quantitativo di radiofarmaco, molto probabilmente corrisponde un ammasso di beta amiloide e quindi la presenza di Alzheimer che, subdolamente sta già facendo il suo corso, prima che siano evidenti i sintomi.
L’uso della pet in questi casi é di fondamentale importanza perché consente di intervenire subito con i farmaci giusti, evitando di arrivare tardi alla diagnosi, perdendo tempo prezioso a volte con cure inappropriate. “Capita di vedere – aggiunge il dottor Pisciotta – pazienti con leggeri disturbi neurologici trattati con farmaci per demenze, come il parkinson, salvo poi scoprire con la pet che si tratta invece di Alzheimer, che ha tutt’altra terapia. Somministrare quindi farmaci specifici per il parkinson a chi invece ha l’alzheimer significa non solo non trattare bene la patologia, ma creare anche degli effetti collaterali non indifferenti, visto che si tratta di medicinali pesanti, la pet aiuta a non fare di questi errori”.
L’apparecchaitura infatti può dirci, con una probabilità molto vicina alla certezza, che di solito dà solo l’esame istologico della materia cerebrale dopo la morte, se é presente una forma patologica di Alzheimer oppure no.
La pet è quindi indicata, proprio per la sua capacità di effettuare una diagnosi precoce, prima che arrivino i sintomi, a quelle persone apparentemente sane, ma che avendo familiarità con una persona ammalata di Alzheimer, hanno contratto la malattia senza ancora saperlo.
A Lecce nell’Istituto Oncologico Calabrese in via San Pietro in Lama, l’impiego della pet nelle malattie neurodegenerative è già avviato, nonostante il radiofarmaco sia in commercio da poco; vi è inoltre la possibilità di valutare tramite pet il metabolismo delle cellule celebrali che si nutrono di glucosio. Attraverso l’utilizzo non più del VIZAMYL, ma del Fluoro-Deossiglucosio marcato con il Fluoro, iniettato come il radiofarmaco in vena, é possibile capire dalle immagini scansionate dalla pet, come funziona il metabolismo dei neuroni che captano il tracciante simile al glucosio. Un altro segnale seppure indiretto, della presenza o meno di Alzheimer.
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