Ha incantato tutti: studenti, professori, cittadini, medici. Il professor Paolo Fiorina, professore associato di endocrinologia all’università statale di Milano, nonché direttore del centro di ricerca pediatrica “Invernizzi” dello stesso ateneo, è riuscito a ottenere la remissione del diabete di tipo1 nei topi. Una conquista ottenuta tramite l’infusione di cellule staminali modificate in laboratorio. Fiorina ha dato speranza ai molti che, per un motivo o per un altro, hanno a che fare con il diabete cosiddetto infantile e che ieri hanno affollato l’atrio del liceo classico – musicale “Giuseppe Palmieri” di Lecce, per ascoltare la lectio magistralis del noto luminare.
Nella sua relazione, il professore, invitato dalla dirigente scolastica Loredana Di Cuonzo, ha dimostrato come per la prima volta, si possa parlare di guarigione dal diabete di tipo1, grazie alla nuova terapia che sta mettendo appunto la sua squadra di ricercatori da lui coordinata. Si tratta di un approccio che punta sul deficit di PDL- 1. Una proteina carente nei pazienti diabetici e che ha la funzione di “interruttore” regolatore, nel sistema immunitario. Maggiore è la quantità di questa proteina, è maggiore è il freno posto all’azione di “attacco” del nostro organismo verso corpi estranei: virus, batteri, ecc… Minore presenza di PDL – 1, è più forte è l’azione del sistema immunitario , che può arrivare ad eccedere, sino a distruggere anche le cellule dello stesso organismo a cui appartengono. Questo è quello che succede con le malattie autoimmuni, come appunto il diabete 1.
Il diabete di tipo 1
“Il diabete di tipo 1 – ha spiegato il professore, alla platea – è una malattia autoimmune”, per cui le difese dell’organismo sono eccessive e distruggono le beta cellule che si trovano nel pancreas e che producono insulina, l’ormone che regola l’utilizzo del glucosio da parte delle cellule stesse. La distruzione di beta cellule, vuol dire meno insulina, il che comporta l’aumento del glucosio e l’incapacità dell’organismo di usare gli zuccheri che arrivano dall’alimentazione e che invece vengono eliminati con le urine.
“Non conosciamo le reali cause del diabete 1 – ha sottolineato il professor Fiorina – sappiamo però che c’è una componente genetica molto forte, ma anche qualcos’altro che incide: infezioni virali, fattori inquinanti, ma non abbiamo ancora dati certi su questo. Quello che sappiamo invece, è che i vaccini non provocano le malattie autoimmuni, non c’è alcuno studio, alcuna ricerca scientifica che lo dimostri.
Attualmente la terapia valida, resta quella insulinica, la somministrazione di insulina per tre volte al giorno, associata ai pasti, più una somministrazione serale che copre la notte sino all’alba, quando l’insulina tende a salire.”
Terapie alternative non sempre soddisfacenti
“Non c’è ad oggi una cura al diabete di tipo 1 – ha aggiunto Fiorina – il trapianto di pancreas potrebbe rappresentarla e in effetti è una tecnica che si utilizza: 5000 sono i trapianti in Europa, 17 mila negli USA, ma il trapianto non può essere risolutivo per tutti. Servono più donatori possibili, perché possa essere individuato l’organo compatibile e inoltre c’è sempre una terapia di immunosoppressori che il paziente, una volta trapiantato, deve fare a vita. Tuttavia chi si trapianta, ha una sopravvivenza pari al 90% nei 10 anni successivi. E’ possibile trapiantare anche sola una parte del pancreas, in particolare le isole di Langerhans, agglomerati di cellule, situati nel pancreas, che producono insulina. Anche in questo caso, c’è il rovescio della medaglia, perché dopo due, tre anni dal trapianto, la loro attività non funziona più bene e torna l’insulina dipendenza.”
Lo studio per una nuova terapia
Da qui l’esigenza di ricercare un’altra soluzione terapeutica che non fosse insulina dipendente, ma si concentrasse sull’utilizzo di cellule staminali.
Siamo partiti – ha ricordato Fiorina – con una ricerca sulle staminali midollari, che hanno una capacità potentissima in ambito immunologico. Con l’intento di bloccare l’autodistruzione dell’organismo che attacca le proprie cellule beta, le cellule staminali midollari che di norma si trovano nel midollo, nei tessuti connettivi, vengono estratte, per poi essere reinserite in altri sedi che non solo quelle naturali, per agire a livello immunitario. Abbiamo visto tuttavia che gli effetti collaterali sono moto seri, perché le cellule midollari reinserite, molto spesso tramutano in tumori e così abbiamo accantonato questa sperimentazione.”
Lo studio che eradica il diabete1.”
“Mi sono focalizzato quindi – sottolinea il professore – sulle staminali emopoietiche, dell’adulto. Lo studio prevede quindi di estrarre le staminali emopoietiche, congelarle, nel frattempo ripulire il paziente diabetico dalle cellule “errate”, che generano il processo immunologico di autodistruzione e iniettare poi le cellule staminali emopoietiche “corrette”, in grado di modulare l’azione del sistema immunitario. La “correzione” delle cellule prevede l’inserimento del PDL 1 della proteina carente nei diabetici, in modo tale da non eccedere nell’azione di attacco del sistema immunitario, per evitare che vengano distrutte anche le stesse cellule beta dell’organismo, che producono l’insulina.”
Il futuro
La partita si gioca su un delicato equilibrio del sistema immunitario regolato da “interruttori” che si trovano nelle cellule staminali, sono i PDL1 che possono essere attivati o no. In base a ciò vi è una maggiore o minore risposta immunitaria, che se eccessiva finisce con il provocare la malattia autoimmune come il diabete 1, se invece troppo carente ne consegue l’assenza di una difesa immunitaria e la facile insorgenza di tumori.
Su questo principio si basa l’immunoterapia, punto di forza dello studio condotto dal professor Fiorina, l’assenza di qualunque somministrazione di farmaci, ma solo un regolatore di equilibrio delle difese immunitarie. Un approccio che ha funzionato in via sperimentale sui topi, sui quali il professor Fiorina è riuscito a eradicare il diabete 1. “Ora si tratta di modulare la quantità di proteina PDL1 e il prossimo passo sarà quello di portare in clinica questa ricerca da estendere poi sugli uomini, eliminando per sempre l’insulina dipendenza. Tempo due, tre anni, per avere tutte le autorizzazioni del caso.”