E’ scritto chiaramente nelle linee di indirizzo del ministero della salute, che, per la riorganizzazione della rete ospedaliera per emergenza Covid-19, il potenziamento dei servizi sanitari per un’eventuale ondata del Corona virus, va fatto in quelle strutture sanitarie che siano sedi di Dea di I livello.
Secondo il decreto ministeriale 70 del 2015, é Dea di I livello, quel presidio ospedaliero con un bacino di utenza compreso tra 150.000 e 300.000 abitanti. Si tratta quindi di strutture sede di Dipartimento di Emergenza Accettazione (DEA), dotate delle seguenti specialità:
Medicina Interna, Chirurgia Generale, Anestesia e Rianimazione, Ortopedia e Traumatologia, Ostetricia e Ginecologia (se prevista per numero di parti/anno), Pediatria, Cardiologia con Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (U.T.I.C.), Neurologia, Psichiatria, Oncologia, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Urologia, con servizio medico di guardia attiva e/o di reperibilità oppure in rete per le patologie che la prevedono. Devono essere presenti o disponibili in rete h. 24 i servizi di Radiologia almeno con Tomografia assiale computerizzata (T.A.C.) ed Ecografia, Laboratorio, Servizio Immunotrasfusionale. Devono essere dotati, inoltre, di letti di “Osservazione Breve Intensiva” e di letti per la Terapia Subintensiva (anche a carattere multidisciplinare).
Stando ai documenti ministeriali il potenziamento da fare per far si che la nostra sanità sia pronta per un’eventuale ritorno del virus in autunno, andrebbe quindi fatto in un ospedale rispondente a quei criteri. Se così è, nè San Cesario come vorrebbe l’asl, né Galatina come il buon senso porterebbe a pensare, potrebbero diventare un ospedale dedicato al Covid. Tanto per cominciare il “Santa Caterina Novella” non è sede di un Dea. Per San Cesario ci sarebbe forse uno spiraglio visto che è sotto la direzione di Lecce.
Le linee organizzative del ministero della salute chiariscono a proposito del Covid che “è necessario riorganizzare il fabbisogno e la disponibilità di posti letto di area intensiva e semi intensiva, con la dotazione impiantistica idonea a supportare le apparecchiature di ausilio alla ventilazione e monitoraggio, in modo che tali letti siano fruibili sia in regime ordinario, sia in regime di trattamento infettivologico per alta intensità di cure. Va poi previsto – si legge nel documento – la possibilità di biocontenimento e/o di isolamento, particolare attenzione andrà posta agli impianti di condizionamento e ricambio di aria.”
A Galatina manca la terapia intensiva
Se è vero che l’ospedale di Galatina, ha già un reparto di malattie infettive, dove esiste un sistema di isolamento ad aria negativa, ha già un servizio di trasporto biocontenimento, ha un laboratorio di biologia molecolare, Tac é anche vero che è sprovvista di una terapia intensiva che andrebbe quindi realizzata insieme ad altri pochi servizi necessari, con i fondi del ministero (55 milioni), ma non sarebbe comunque sede di un Dea. Per questo da scartare evidentemente.
San Cesario come braccio di Lecce, candidato per ospedale Covid
Ancor peggio sarebbe la situazione di San Cesario sprovvisto di tutti o quasi quei criteri menzionati dalle linee ministeriali. San Cesario, però è sotto la stessa direzione sanitaria di Lecce, per questo l’asl potrebbe motivare la sua scelta a fare del piccolo ospedale una struttura Covid, poichè risulta un braccio del “Fazzi”. L’azienda santiaria dovrà però spendere tutto, per costruire ex novo quanto necessario, tenendo conto che serviranno reparti specialistici a contorno di quelli specifici per il Covid. Non solo quindi infettivologia, terapia intensiva, ma anche cardiologia, pneumologia, ecc..
Ciò vuol dire evitare di trasportare ogni volta il paziente su una barella di biocontenimento per una consulenza. Come è accaduto invece per il Dea dove, chi era ricoverato e aveva bisogno di essere visitato dal cardiologo per esempio, doveva esser trasportato con la barella di biocontenitmento al “Fazzi”, in alternativa il medico lasciava il reparto per recarsi nel Dea, sprovvisto di una cardiologia.
Il ministro della salute parla chiaro e stabilisce che nel potenziare i servizi Covid in una ospedale che abbia il Dea, debbano esserci spazi e percorsi distinti tra Covid e attività ordinaria. Nel caso dell’asl salentina, le due attività sarebbero addirittura su due edifici: “Fazzi” e San Cesario. Il ministero però prevede oltre al personale dedicato al virus, anche equipe multidisciplinare per dare la migliore assistenza possibile sia in regime ordinario che va sempre garantito, che in emergenza Covid. Si tratta di capire se l’asl preveda reparti medici specialistici a San Cesario per evitare trasporto di pazienti a Lecce e possibili contaminazioni in ospedale no Covid, visto che il ministero parla di tenere distinte le due aree.
120 posti di terapia intensiva a San Cesario stridono con i criteri del ministero
Quanto ai posti letto la Stato prvede per la terapia intensiva 0,14 degenze per 100 abitanti. A San Cesario come vorrebbe l’asl, si tratta di realizzare solo per la terapia intensiva, un incremento di posti letto di poco più di 100 degenze da dedicare al Covid, cosa non facile. Considerando tutta la Puglia invece, si tratta di attivare 275 posti letto in più di terapia intensiva che si sommerebbero a quelli già esistenti su tutto il territorio regionale, 304 per l’esattezza, per arrivare ad un totale di 579 degenze in tutte le terapie intensive pugliesi.
282 letti saranno invece quelli da aggiungere ai reparti di terapia semintensiva della regione pugliese. Occorrerà una dotazione impiantistica idonea a supportare le apparecchiature che sono impiegate per la ventilazione. Anche questo aspetto va considerato nell’ipotesi di fare di San Cesario un ospedale Covid.
I pronto soccorso
La riorganizzazione ospedaliera prevede un’azione mirata anche nei pronto soccorso che – si legge nel documento ministeriale – in questa emergenza, hanno avuto un importante flusso di accessi non sempre distinti adeguatamente. In vista di un possibile ritorno del virus, il ministero stabilisce la necessità come obiettivo prioritario quello di separare i percorsi e creare aree di permanenza dei pazienti in attesa di diagnosi. Spazi che garantiscano i criteri di separazione e sicurezza. Il tempo di permanenza in attesa di ricovero, deve essere ridotto al minimo, anche in considerazione alle esigenze di distanziamento tra i pazienti durante le procedure diagnostico-terapeutiche, al fine di evitare il sovraffollamento e di non provocare rallentamento o ritardi della gestione della fase pre- ospedaliera del soccorso sanitario.
Aumentare spazi e posti letto per svuotare i pronto soccorso
la nostra realtà racconta da diverse settimane difficoltà serie nei servizi di emergenza – urgenza del Salento e in particolare del “Vito Fazzi” anche per impossibilità a ricoverare pazienti nei reparti che hanno visto una riduzione del 50% dei letti per il distanziamento sociale. Per questo ci sono pazienti che sostano nel pronto soccorso ore, anche giorni. Migliorare quindi le degenze, aumentando gli spazi nei reparti e quindi i letti da distanziare, significa smaltire l’attività nel pronto soccorso ed evitare che vada in affanno. Nelle linee guida ministeriali si legge che “al fine di fronteggiare l’accresciuta domanda assistenziale, una quota parte di posti letto di area medica, di acuzie e postacuzie, compresi quelli in pediatria, devono essere resi disponibili per la gestione dei pazienti Covid-19.” Non è contemplato il problema relativo alla riduzioni di letti nei reparti per via del distanziamento sociale.
In Pronto Soccorso devono inoltre essere previsti ambienti per l’isolamento e il biocontenimento dei pazienti, con sale appositamente dedicate, anche in ambito pediatrico.
Concludendo le linee ministeriali prevedono alla luce di quanto accaduto e dell’emergenza Covid appena affrontata, di riorganizzare nuovamente l’assistenza ospedaliera secondo il modello hub and spoke con un ripristino graudale dell’attività ordinaria, con un’integrazione di servizi dedicati a fronteggiare l’epidemia, con personale dedicato e per questo periodicamente formato.
il 17 giugno l’ok o meno del ministero
Tocca quindi alla Regione poi redigere come tutte le altre, la nuova rioganizzazione ospedaliera inviando a Roma una relazione sintetica che illustri la metodologia che ha condotto all’articolazione della rete di offerta, il programma di attuazione, nonché le motivazioni che determinano eventuali scostamenti rispetto ai criteri definiti nella circolare del ministero. Il tutto va trasmesso a Roma entro il 17 giugno. Non c’è tanto tempo per avere poi l’approvazione dal ministro, dopo trenta giorni dalla ricezione del docuemnto regionale.
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