Saltato il tavolo regionale sulla vertenza degli operatori socio sanitari precari. L’incontro si doveva tenere oggi a Bari tra le organizzazioni sindacali, il direttore del dipartimento regionale della salute Vito Montanaro e l’assessore alla sanità Pierluigi Lopalco.
Non ci sarebbe stata unione di intenti tra i sindacati: c’era chi come i Cobas, chiedeva al governo pugliese di arruolare personale necessario alle asl, attingendo dalla graduatoria degli idonei del concorso espletato a Foggia, chi invece come la Cgil, puntava i piedi per chiedere la proroga dei contratti al personale già in servizio a tempo determinato, con particolare attenzione ai dipendenti dell’asl di Brindisi.
Proprio il caso di Brindisi é un’anomalia rispetto al territorio pugliese, perché 141 operatori socio sanitari assunti a tempo determinato, non hanno visto prorogati i contratti come tutti i colleghi precari delle altre asl, che saranno in servizio sino al 31 marzo come indicato dal dipartimento regionale della salute, ma sono stati mandati a casa al termine del contratto.
Quello che sta quindi accadendo é una situazione discriminante: a Lecce, Taranto e nelle altre asl della Puglia, i dipendenti precari continueranno a lavorare sino a marzo, nel frattempo si valuterà l’effettivo fabbisogno di personale per singola asl, per capire poi come procedere nelle assunzioni. A Brindisi invece, i precari sono andati a casa. “Chiediamo – ha detto Chiara Cleopazzo coordinatrice regionale della categoria OSS – un trattamento omogeno in tutta la Puglia, senza figli e figliastri. Per questo vorremmo che a Brindisi come nella Bat, i direttori delle Asl recepissero l’indicazione regionale, prorogando i contratti a tempo.”
A Brindisi in particolare i 141 lavoratori rappresentano il precariato storico, assunto prima della pandemia, attinto dalla graduatoria di appartenza del 2009, con 760 persone in elenco, delle quali gran parte sono state prorogate fino al raggiungimento dei tre anni e quindi stabilizzate. Negli anni quindi molti oss di quella vecchia graduatoria, sono stati assunti definitivamente, ciò anche perchè l’asl ha chiamato sempre gli stessi lavoratori che hanno così potuto maturare facilmente i tre anni di servizio, requisito per la stabilizzazione. La graduatoria però per diverso tempo non ètato fatta scorrere, così chi era nella posizione più in basso, è stato per anni fermo, senza mai poter lavorare.
Solo nel 2018 la situazione si sbloccò. All’epoca tra l’altro in seguito ad un intervento dei Nas, si constatò che nei reparti del “Perrino”, mancavano gli oss, con conseguente demansionamento degli infermieri in servizio che dovevano fungere anche da operatori socio sanitari. Da allora in poi, la graduatoria dei 760 oss è cominciata a scorrere e parte di quel personale é stata in servizio sino a un mese fa, poi si è vista mandata a casa quando avrebbe potuto finalmente raggiugnere il requisito necessario alla stabilizzazione.
“Diversi dipendenti – dichiara la Cleopazzo – matureranno i tre anni di servizio entro marzo – aprile, gente che per una manciata di settimane perde il sogno della stabilizzazione dopo un attesa di un decennio.” Questo personale non solo dovrebbe essere prorogato per avere unt rattamento uguale a tanti altri colelghi delle altre asl, ma lo reclama ancor di più, avanzado un diritto negato tempo fa. “Tra l’altro il decreto milleproroghe – sottolinea la Cleopazzo – prevede l’assunzione definitiva per coloro che raggiungano i 36 mesi entro l’anno e di casi così ce ne sono diversi.”
“Nulla contro gli idonei – tiene a specificare la sindacalista – siamo favorevoli per la loro assunzione nel sistema sanitario, ma qui si tratta di lasciare lavoratori precari a casa, senza dare la posibilità di raggiungere il requisito della stabilizzazione, per assumere un colleghi idonei sempre però come precari. Che senso ha ? Avremmo preferito, nell’ eventualità di sacrificare lavoratori precari, lo si facesse per una giusta causa come l’assunzione definitiva degli idonei, non per dar loro un contratto a quattro mesi ! Così facendo – conclude l’espoennte della CGIL – si allarga solo la platea dei precari.
Tra l’altro molti dei lavoratori a tempo, hanno preso parte al concorso di Foggia, risultano idonei, per cui una volta scaduto il contratto o nel caso di Brindisi, mandato a casa, é posibile che rientri nel sisteam santiario come idoeno, uscendo dalla porta si rientra perciò dalla fnestra.”
Molti dei 141 oss di Brindisi poi sono donne, over quaranta, madri di famiglia, spesso monoreddito e non é accettabile lasciare queste persone in mezzo alla strada, difficilmente ricollocabili sul mercato del lavoro.
Lo sa bene Gianna che si é vista sfumare il sogno di un lavoro fisso, per una manciata di settimane, quando avrebbe raggiunto i tre anni di attività per poter reclamare la stabilizzazione. “Io – dice – come altre mie colleghe non sono stata assunta in occasione della pandemia, ma sono stata chiamata molto prima, eppure mi sono trovata ad affrontare la prima e la seconda ondata del Covid. Chi non è stato dentro in reparto, non potrà mai capire – dice con le lacrime agli occhi – ogni nostro sforzo, quando una persona moriva c’eravamo noi a chiudere quei corpi inermi nei sacchi… Non poter dare niente ai familiari, c’era solo la notizia da dare loro. Chi stava invece male, aveva come unico riferimento solo l’infermiere e l’oss di turno. Sono cose che segnano e che credo non potrò dimenticare nemmeno tra dieci, venti, trent’anni. Io non voglio una medaglia, ho fatto il mio lavoro che amo tanto, ma mai mi sarei immaginata di trovarmi in questa guerra silenziosa, sconosciuta. Mi sono ritrovata dall’oggi al domani in un reparto irriconoscibile, trasformato in 24 ore per assistere i pazienti Covid con nuovi percorsi, zone chiuse, ambienti isolati.
Ricordo all’inizio dell’emergenza che eravamo tutti smarriti, man mano abbiamo capito qualcosa in più di quello che stava accadendo. Noi oss eravamo e siamo tutt’ora quelli che hanno forse il contatto più umano e vicino al paziente, al quale diamo assistenza, igiene, ma anche supporto psicologico, compagnia, conforto, anche ai familiari. Tante volte abbiamo risposto ai cellulari dei pazienti, che non potevano rispondere, perchè costretti a stare con la C-PAP. Abbiamo imparato a parlare con gli sguardi di queste persone.
Ricordo – dice Gianna – che un giorno mi sono trovata alla dipartita di un anziano, genitore di un medico. Il figlio non si capacitava della morte del padre. Era straziante chiudere quel sacco con il figlio dall’altra parte che si disperava per aver rinunciato a fargli visita quando stava bene a casa, per paura di un possibile contagio. Anche io – dice Gianna – ho rinunciato a vedere i miei figli, i miei nipoti, sopratutto nella prima ondata, mesi e mesi senza vederli di persona perché tra loro c’è un paziente oncologico che avrei esposto a rischi, lavorando in ospedale. Così, mentre aiutavo in corsia, non potevo dare aiuto a chi ne aveva bisogno nella mia famiglia. Vedersi adesso mandati a casa, dopo tutto questo, é un pugno allo stomaco.”
“Ci hanno chiamati angeli, eroi, ma come ha detto qualcuno in Asl, non basta per maturare il diritto alla stabilizzazione lavorativa, per la quale invece serve solo la legge !”
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