Le liste d’attesa in sanità: il mostruoso cane dalle tre teste

Le liste d’attesa in sanità: il mostruoso cane dalle tre teste

“La scienza della natura non è che scienza di rapporti. Tutti i progressi del nostro spirito consistono nello scoprire tali rapporti”. (Giacomo Leopardi , Zibaldone, III, 395).
Chi non conosce tali relazioni, assai spesso si arrabatta alla ricerca di soluzioni empiriche a importanti problematiche sanitarie e sociali che, come nel caso delle liste d’attesa in sanità, tendono ad assumere il mostruoso aspetto di Cerbero, il leggendario cane dalle tre teste, simboleggiante la distruzione del passato, presente e futuro.

La stampa quotidiana, in data 31 ottobre 2017, così titolava: “Liste d’attesa lunghe: ecco come abbatterle grazie ai presidi di base. L’idea del direttore del Dipartimento alla Salute: ‘Utilizzare gli ospedali riconvertiti per i controlli’”. Dopo aver letto questa dichiarazione del dr. Ruscitti, massimo vertice tecnico a disposizione del Presidente Emiliano per l’organizzazione e la gestione della sanità nella Regione Puglia, ho ritenuto di ridare una dignità agli ospedali che sarebbero riconvertiti, secondo l’idea del dr. Ruscitti, in meri “opifici di prestazioni sanitarie”.

Le liste di attesa in sanità rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio clinico e di spreco economico e, in quanto tali, sono da tempo oggetto di studio da parte di esperti di varie discipline. Esse consistono in un disallineamento (scostamento temporale) tra il giorno in cui viene avanzata la richiesta della prestazione assistenziale e il giorno in cui la prestazione viene effettivamente erogata.
Esse contengono di tutto, da prestazioni obbiettivamente urgenti ed importanti in termini di efficacia e di sicurezza clinica, ad esami richiesti ai soli fini assicurativi, motivo per il quale la British Medical Association (Health Policy and Economic Research Unit 1998) esprime questo profondo concetto: “L’attenzione non deve essere posta sul limite assoluto d’attesa ma sulla costruzione di sistemi di accesso in grado di dare maggiore priorità e minore attesa alle situazioni di maggior bisogno clinico”. Come dire che la gestione delle lsite di attesa và affrotnata pensando al tempo non in una dimensione cronologica, bensì di urgenza o priorità, vale a dire che non viene erogata la prestazione di chi arriva per primo, ma di chi ha più urgenza clinica. Come stabile questa urgenza in modo obiettivo?

Il principio della valutazione obbiettiva dei criteri di priorità è alla base della teoria dei RAO, ideata da Giuliano Mariotti con il fine di garantire la corretta gestione del rischio clinico; infatti, tale modello utilizza il principio della stratificazione (in 4 gruppi) del rischio clinico, per aumentare l’efficacia e la sicurezza clinica, attraverso un significativo miglioramento dell’efficienza organizzativa, al punto da rendere l’accessibilità alle prestazioni (e non solo a quelle diagnostiche) adeguata al livello di rischio.

La validazione scientifica internazionale del suddetto modello è stata sancita dalla pubblicazione sulla prestigiosa rivista “Health Policy” del seguente lavoro: “Waiting time prioritisation for specialist services in Italy: Thehomogeneous waiting time groups approach”, a firma di G. Mariotti et coll, tra i quali lo scrivente (Health Policy 117, 2014, 54–63). Il modello dei RAO subordina (in 4 differenti gruppi di accesso), la tempistica dell’accesso alle prestazioni sanitarie, sulla base della coesistenza di due precisi criteri: importanza e urgenza della prestazione, in funzione dell’efficacia e della sicurezza clinica; in altri termini, non sempre una prestazione importante è urgente o viceversa (es. controlli programmati, prestazioni richieste ai fini assicurativi o per l’iscrizione in piscina). Orbene, rispetto al principio scientifico dei RAO, non risulta, ad oggi, che la Regione Puglia si sia attivata per applicare la suddetta metodologia in modo uniforme sull’intero territorio regionale, dove si continua ad operare pertanto, a macchia di leopardo, in base a modelli ispirati da iniziative locali, spesso profondamente diverse non solo tra ASL e ASL, ma anche tra Distretto e Distretto della stessa azienda sanitaria. Il modello dei RAO tende a suddividere l’accesso alle prestazioni sanitarie, raggruppando i pazienti in 4 gruppi, in relazione ad una meticolosa analisi dei criteri di importanza e urgenza della prestazione, in funzione dello stato clinico del paziente, operata da un gruppo di lavoro formato da rappresentanti dei medici di famiglia e dei medici specialisti, oltre ad una rappresentanza dei cittadini. Di seguito (tabella 1), si riporta un esempio di procedure di accesso alle prime visite oculistiche secondo il modello di RAO, costruite nel 2006 da un gruppo di lavoro del DSS di Maglie, coordinato dallo scrivente e formato dai rappresentanti dei MMG e dei PLS e dai medici specialisti oculisti del poliambulatorio del DSS di Maglie. Inutile dire che il progetto restò confinato nel solo territorio del DSS di Maglie.

Ma la questione non si ferma qui, perché per i malati cronici non si può liquidare il caso, riducendo il tutto alla soluzione del problema di una singola prestazione, quando gli organi bersaglio, come, per esempio, nel caso del diabete, sono molteplici; allora, visto che il modello RAO non può essere applicato, volta per volta, se non ad una singola prestazione, che cosa si può fare per ridurre o annullare il ricorso a molteplici liste d’attesa per un malato cronico affetto da diabete?

Per rispondere a questa domanda, bisogna mettere in premessa l’osservazione che, per un malato cronico affetto da una patologia sistemica (es. diabete, BPCO, collagenopatie, ecc.), si ha spesso la necessità del ricorso a un gran numero di richieste di prestazioni all’anno; pertanto, visto che tale paziente deve essere sottoposto a più prestazioni nello stesso anno, che senso ha costringerlo ad andare su e giù dallo studio del proprio medico curante per richiedere decine e decine di prestazioni e costringerlo quindi a decine e decine di liste d’attesa? Non è più semplice metterlo in carico allo specialista con un preventivo accordo col medico curante, per garantirgli un percorso assistenziale molto più agevole in forma programmata?

Pertanto, la risposta a questa domanda apparentemente drammatica è, in realtà, molto semplice: occorre ricostruire il sistema dei servizi ambulatoriali di assistenza specialistica non più per branca, ma per patologia: questo è il modello alla base dei DSA (Day Service Specialistici), ai quali, in realtà, sebbene con ritardo, la Regione Puglia si è ispirata; ma cadendo in un errore fondamentale: quello di costruire i DSA secondo il modello di pacchetti di prestazioni predeterminate (es. PACC) per tutti i pazienti, al solo fine, evidentemente (ossessionati dal calcolo ragionieristico), di avere la possibilità di un monitoraggio costante dei costi. In realtà, il modello dei DSA pugliesi nasce con il peccato originale di considerare uniforme e costante l’evoluzione di tutti i casi di diabete e di poter attuare un percorso assistenziale in fotocopia per tutti. La gravità di tale errore è evidente.

Che fare, quindi? Occorre trasformare i DSA da statici monoliti di stampo parmenideo in flessibili e dinamici modelli eraclitei di prestazioni differenziate e specifiche, programmate, di volta in volta, in base ai bisogni di ogni singolo paziente; in altri termini, il DSA viene costruito non già come un abito preconfezionato verso una determinata malattia, ma tessuto su misura per il singolo malato.

Per tornare alla valutazione dell’ipotesi di soluzione proposta dal dr. Ruscitti, è necessario prendere il esame il tema della “eziopatogenesi” del fenomeno, a lungo studiato da Giuliano Mariotti (1999-2006); secondo Mariotti, le cause delle liste d’attesa non possono essere semplicisticamente ascritte a uno squilibrio tra la quantità di domanda e la disponibilità dell’offerta, poiché è stato documentato da vari studi nazionali ed internazionali l’effetto paradosso di un aggravamento delle liste d’attesa prodotto da una maggiore disponibilità dell’offerta.

Qualsiasi obiezione rispetto all’eccessiva complessità dei DSA flessibili, modulati su misura per le esigenze dei singoli pazienti può essere smentita sulla scorta dell’esperienza svolta per un biennio nel DSS di Maglie, come sinteticamente riportato in tabella 2.

Nel corso del Convegno Interregionale CARD (Confederazione nazionale dei direttori di distretto), tenutosi a Jesi nel novembre 2009, fu costituito un gruppo di lavoro nazionale, per la definizione di un progetto innovativo per la gestione delle liste d’attesa per le prestazioni diagnostiche.
Il lavoro poneva in evidenza la possibilità di risolvere il problema ricorrendo al doppio metodo dei RAO (per le prestazioni singole) e dei DSA (per l’intero percorso delle malattie croniche), demolendo il bel miraggio del miglioramento dell’efficienza e il totem della rigidità dei percorsi secondo pacchetti predeterminati di prestazioni, che ricordano tanto i pacchi ostetrici in perfetto stile anni ’60.

In conclusione, visto che il processo di rivoluzione sanitaria sbandierato dalla Regione Puglia non si configura come un processo di innovazione, ma come tentativo di miglioramento della tradizione, non pensate che sia il caso di cambiare finalmente registro?

Roberta Grima
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