Il 2017 ci ha consegnato una sequenza di dati (tristemente) significativa per ciò che concerne il diritto alla tutela della salute, specie per ciò che concerne il Sud Italia.
Abbandonando qualsiasi accento apocalittico, è sufficiente porre in sequenza i freddi numeri di alcune indagini per riscaldare gli animi. Uno sbalzo termico che può dare alla testa.
Negli ultimi giorni di marzo, il Ministro della Salute ha dichiarato che il monitoraggio per il 2015 dei Livelli Essenziali di Assistenza – cioè tutte quelle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale deve garantire uniformemente sul territorio nazionale – ha fatto emergere che in cinque Regioni non sono stati rispettati gli standard minimi. In particolare queste performance negative sono state registrate in Calabria, Molise, Sicilia, Campania e Puglia.
Per una singolare coincidenza, questi dati sono stati disvelati proprio nei giorni in cui sono stati pubblicati i nuovi LEA sulla Gazzetta Ufficiale. Un sincronismo che funge sia da monito che da auspicio.
A qualche giorno di distanza, l’ufficio statistico dell’Unione Europea ha pubblicato i dati (relativi all’anno 2015) sull’assistenza sanitaria in Europa ed anche in questo caso non sono giunte notizie positive per il nostro Paese.
Secondo Eurostat, infatti, nel 2015 l’Italia ha fatto registrare una delle percentuali più alte di cure mediche insoddisfatte a causa del loro costo. Gli insoddisfatti si attestano al 6,5%, venendo superati solo da greci (10%), romeni (8,3%) e lituani (6,8%). Un trend negativo imboccato da tempo, tanto è vero che nel 2010 la percentuale di insoddisfazione si attestava al 3,6%.
Se si considera che la maggiore insoddisfazione è tra le classi sociali meno abbienti e se, nel contempo, si tiene in conto che la maggior parte delle famiglie con redditi bassi si trova al Sud, si comprende che il quadro fornito da Eurostat non può che toccare nel vivo le ferite del meridione d’Italia.
A completare la visione dell’orizzonte sono arrivati i risultati del rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane curato dall’Università Cattolica. Tali dati possono essere così riassunti: continua ad aumentare il divario Nord-Sud con un’incidenza evidente sull’aspettativa di vita.
Dinanzi ad un’aspettativa di vita in Italia di 82,3 anni (80,1 per gli uomini e 84,6 per le donne), ciò che fa riflettere è che mentre a Trento la soglia si eleva a 83,5 anni, in Campania si riduce a 80,5 (con un picco negativo di 78,3 anni per gli uomini).
I dati sulla mortalità consegnano un ulteriore tassello di riflessione. Negli ultimi 15 anni, infatti, la riduzione della mortalità è stata del 27% al Nord, del 22% al Centro e del 20 % al Sud.
A tutto ciò fa da corollario la spesa privata per la salute, in costante aumento, specie nel meridione. Secondo l’Università Cattolica dal 2010 al 2014, l’esborso a carico di ogni cittadino per spese mediche, è passato da 449,3 euro a 553,1 euro con un valore che, in vero, si attesta al di sotto di molti Paesi dell’Unione Europea. La spesa per la sanità privata è aumentata maggiormente al Sud, con un incremento che va dal 3,53% della Basilicata all’1,74% della Campania.
Provando ad elencare alcuni elementi di maggiore incisività, si può affermare che tutto ciò è la conseguenza di miopia organizzativa, scarsezza nell’azione preventiva e corruzione.
L’assetto organizzativo ha una valenza predominante per l’efficienza del sistema. Se in Emilia-Romagna è stato raggiunto un quasi totale azzeramento delle liste d’attesa mentre, secondo il rapporto “Crea” dell’Università di Tor Vergata, 14 pugliesi su 100 (il 13,9%) rinunciano a curarsi a causa della lunghezza delle liste, tutto ciò non può essere esclusivamente addossato alle risorse economiche disponibili, ma ha a che vedere con le scelte organizzative. Questo è tanto più vero in ragione del fatto che dall’indicatore sulle risorse disponibili in termini di finanziamento pro capite, emerge che molte Regioni del Nord migliorano la loro performance senza aumentare la spesa, mentre alcune regioni del Mezzogiorno inanellano risultati peggiori pur aumentando le risorse rispetto alla media nazionale.
A ciò si aggiunge l’aspetto della mancata prevenzione, che è il tassello precedente alla cura. Anche in questo caso il divario Nord-Sud ha riflessi importanti. Si pensi che gli screening oncologici coprono la quasi totalità della popolazione in Lombardia, ma appena il 30% dei residenti in Calabria.
Un capitolo cupo è poi quello delle inefficienze e delle distrazioni di risorse a causa della corruzione. Forse questo (purtroppo) è l’unico fenomeno che uniforma il territorio nazionale. Il recente libro “La corruzione spuzza” di Raffaele Cantone e Francesco Caringella, dedica una sezione alla sanità nella quale si afferma che, secondo stime presuntive, la corruzione in questo settore sottrae circa 6 miliardi di euro all’anno alle cure. Negli ultimi cinque anni, il 37% delle ASL è stato teatro di episodi di corruzione. I due magistrati usano parole fortemente incisive “la corruzione nella sanità è quella eticamente più grave, perché ogni euro inghiottito nell’interesse privato è un euro sottratto alla salute di tutti… nella sanità la corruzione è un omicidio, anzi una strage”.
Alla luce di questo volo pindarico si può affermare che gli interventi su organizzazione, prevenzione sanitaria e contrasto alla corruzione possono essere tre validi ingredienti di un cocktail benefico per la sanità italiana (specie quella meridionale) che, al contrario, continuerà ad ingurgitare cicute letali.
Davanti al treno della sanità descritto dai dati succintamente riportati, sembra quasi che il macchinista abbia un accento nordico, mentre il Sud reciti la parte di quel passeggero che è arrivato in ritardo e rischia di perdere la coincidenza per il futuro.
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