Chiusa la pneumologia del “Vito Fazzi” con sette pazienti positivi, alcuni provenienti dalla RSA “La Fontanella”, trasferiti nel Dea. Chiuse anche due medicine su tre, dove anche lì si sono registrati casi di Covid e qualche decesso sospetto. Terapia intensiva aperta, ma bisognosa di bonifica, per questo si appoggia alla sub intensiva della neurochirurgia per collocare temporaneamente i pazienti, mentre quelli positivi sono trasferiti al Dea. Qui ci sarebbero otto posti di rianimazione con una trentina di degenze normali. A breve poi dovrebbe essere trasferita al primo piano anche la pneumologia.
“Il paziente, dove lo metto?!”
Questa é la situazione raccontata da medici, oss e infermieri del “Vito Fazzi” di Lecce, dove al piano terra i medici del pronto soccorso sino a questa mattina non sapevano dove collocare i pazienti con insufficienza respiratoria, uno dei sintomi sospetti del Covid-19. “I reparti sono chiusi, anche a Gallipoli la pneumologia non è disponibile – ci riferiscono dal pronto soccorso – ma la maggior parte delle persone che arriva qui, é destinata ad un reparto pneumologico. Dove mettiamo i pazienti se i reparti chiudono ?”
In realtà la medicina uno sta accogliendo i degenti della pneumologia al momento chiusa, il personale é quello della medicina rientrato da una precedente quarantena, altri infermieri e oss si stanno recuperando da altri reparti, tra cui ortopedia, chirurgia plastica. Quest’ ultima sembra lavori part-time, assicurando alcune attività ambulatoriali al mattino, perché parte dell’organico é chiamato a sostituire colleghi in quarantena, mentre i pazienti sono al momento extralocati in otorino. Un caos che vede un via vai di pazienti trasferiti da un reparto all’altro, cercando di sfuggire al contagio.
Si crea un focolaio senza i numeri della Lombardia
La situazione è difficile e la cosa strana è che nel Salento non ci sono stati i numeri della Lombardia, non c’è stata fortunatamente una vera emergenza Covid-19, eppure abbiamo reparti chiusi, mezzo personale in quarantena, con un ospedale Covid che non sappiamo se è in grado o no di accogliere altri pazienti positivi, se si è costetti a dirottare i pazienti positivi al “Vito Fazzi” o meno. “A volte non vorremmo prendere le persone Covid o sospette tali che ci arrivano, ma non possiamo rimandare indietro l’ambulanza” – dice un dipendente del pronto soccorso – però così si lavora male. Non abbiamo nemmeno le protezioni idoenee visto che dobbiamo farci carico di casi positivi o sospetti che invece dovrebbero andare al Dea.”
Si comincia a vedere gente nel pronto soccorso
“A ciò si aggiunge il fatto che la gente sta riprendendo ad rivolgersi al pronto soccorso, qualche giorno fa la camera grigia era piena di gente, tanto da far intervenire l’ispettore del lavoro per far attendere le persone all’aperto, riducendo l’assembramento in luogo chiuso, con il rischio contagio.
Un pronto soccorso che rischia di contaminarsi
“Qui c’é ancora troppa promiscuità – dice un medico del pronto soccorso – a partire proprio dal nostro reparto, dove molti di noi hanno accettato di prestare la loro opera nel “La Fontanella”, piuttosto che nel Dea, per poi ritornare qui a lavorare. Non è il massimo per noi colleghi che stazionano nel pronto soccorso, che potrebbe rimanere pulito senza rischio di contaminazione. Non solo, sino a poco fa l’ascensore per i pazienti Covid era utilizzato anche per i carelli del vitto.”
Un ospedale Covid inaugurato più volte, ma ancora non del tutto funzionante
“La gestione Covid é partita male dall’inizio – aggiunge un infermiere -. Hanno annunciato tante volte l’apertura del Dea e poi non si capisce perchè questi pazienti Covid o sospetti tali, non possono andare direttamente lì, invece di arrivare al pronto soccorso del “Fazzi”. Evidentemente qualcosa nel Dea non va. Non si spiega sennò perché una donna con scompenso cardiaco positiva al virus debba rimanere al “Fazzi”, mandando il medico di turno al pronto soccorso in quarantena. La stessa scena si ripete ogni giorno, il punto è che medici e infermieri non hanno i dispositivi dei colleghi che sono al Dea, non hanno le tute, ma camici che non sono a loro dire idrorepellenti, mascherine e guanti con il contagocce. “Aspetto di conoscere l’esito del tampone, ma se questo paziente dovesse risultare positivo, io che l’ho assistito, visitato, che faccio? Vado a piangere dal primario ?” – Si sfoga una dottoressa –
I tamponi misteriosi
A propostio dei tamponi, anche questa situazione é poco chiara. Ci sono dipendenti che hanno aspettato anche una settimana prima di conoscere il risultato, non solo, ma se non fossero andati a chiedere personalmente, forse non avrebbero neanche saputo il loro stato di salute. Così come non sempre si è saputo della positività di un collega con il quale si è lavorato a stretto contatto.
La verità – dice una dottoressa – é che questa situazione é stata gestita male, i dispostivi non ci arrivano e non capiamo se non ci sono o si vuole fare economia, come molti di noi sospettano. Ci dicono che le protezioni vanno a quei reparti maggiormente esposti e che il “Vito Fazzi” non è il Dea, ospedale Covid, però poi i casi positivi finiscono nella maggior parte dei casi proprio da noi al “Fazzi”, invece di arrivare al Dea.
Proprio per queste ragioni, molti infermieri hanno protestato nei giorni scorsi davanti la porta della farmacia ospedaliera, ma non è servito a niente. In pneumologia si é lavorato senza dispositivi adeguati, con pazienti Covid. Si tenavano da parte per non sprecarli, nel caso dovesse esserci una positività, senza sapere che qualcuno postivo al virus c’era eccome.
E’ noto che un tampone non basta, si esce positivi anche dopo il terzo tentativo
Erano ben sette persone. Si è scoperto tutto per caso, quando uno dei degenti doveva subire un intervento di tracheostomia, nononstante la tosse insistente dell’uomo, nessuno avrebbe pensato di fare il tampone che aveva già effettuato nei primi giorni del suo ricovero, ma dopo, alla comparsa della tosse e trascorsa già una settimana, nessuno ha pensato di ripetere il test. Solo quando il chirurgo ha preteso il tampone prima di eseguire l’intervento, é venuta fuori la positività. A quel punto tutti hanno effettuato i tamponi, sono stati chiamati i familiari del ricoverato e si é scoperto che la figlia era febbricitante. Erano a quel punto trascorsi già quindici giorni.
Pazienti trasferiti al “Fazzi” subito dopo il primo tampone, senza aspettare di fare il secondo per accertare o meno la positività al virus, personale privo di dispositivi adeguati, che si ritrova ad assistere degenti Covid, gente che lavora in area contaminata senza percorsi dedicati, ma che va in giro per l’ospedale nei vari reparti, un pronto soccorso pulito che rischia di essere contamianto dagli stessi medici che vanno a lavoare nel Dea o nelle RSA per fare poi rientro, tamponi in ritardo.
La gestione del Covid lascia un pò a desiderare, eppure nel Salento ci sono stati un centinaio di persone positive, non é certo la realtà della Lombardia, ma si rischia di arrivare ad una situazione grave, creando un focolaio all’interno dell’ospedale. “C’era il tempo – dice un medico – ogni tanto ci penso, c’erano i mezzi per arrivare ad una reltà più controllata.”
I parenti accedono nei reparti del “Fazzi” con la possibilità di portare il virus
“Invece basti pensare che sin dall’inizio, si sono verificati episodi come quello dell’oss delle malattie infettive che se ne è andato in giro da un reparto all’altro a leggere l’emogas dei pazienti ricoverati nei vari reparti. Basti sapere che chi era positivo al Corona virus e doveva fare una tac, non seguiva un percorso dedicato. Così come basti pensare che dall’inizio nell’ospedale, é stato consentito ai parenti dei degenti di accedere, cosa che non accade in altri ospedali come per esempio quello di Tricase. Queto infatti ha organizzato un check point per lasciare tutto quanto necessario ai ricoverati, che viene poi conseganto dal personale di reparto.
A questo punto sono tanti gli interrogativi e i dubbi sui contagi e i tanti decessi che negli ultimi 10, 15 giorni si sono registrati proprio nei reparti di medicina e pneumologia del “Vito Fazzi”
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