Covid, la mancata programmazione manda in tilt gli ospedali

Covid, la mancata programmazione manda in tilt gli ospedali

Che gli ospedali siano allo stremo é cosa comune un pò ovunque, con l’incremento nelle ultime settimane, dei contagi, anche se di recente si é registrato un lieve calo, ma nel Salento la difficoltà sembra andare oltre la pura e semplice diffusione del virus, considerato che ospedali, letti e spazi per aumentare i ricoveri ce nesarebbero a volontà, ma evidentemente non basta, se oggi gli ospedali sono saturi.

A Lecce, abbiamo il Dea, attuale ospedale Covid dove sono operativi: pronto soccorso, medicina d’urgenza, rianimazione, pneumologia. Quattro reparti su un plesso di cinque piani attualmente vuoti eccetto i servizi operativi e che forse vista l’emergenza, si potrebbero riempire con altri letti, ma la difficoltà é la carenza di personale, oltre al flusso di ossigeno insufficiente, come più volte riferito dal personale e dalla Fismu, (federazione nazionale sindacale medici uniti) per voce del dottor Gaudio.

Il pronto soccorso del Dea conta oggi 32 pazienti assistiti da un solo medico e un solo Oss. Quest’ultimo non ha supporto da alcun collega visto che l’Asl ha mandato a casa a decine quelli che erano in servizio, senza prorogare loro il contratto a tempo determinato. Il medico invece, viene dalla squadra del pronto soccoro dell’oapedale leccese, che sposta un’unità dal “Fazzi” al Dea. Quindi c’é sempre lo stesso personale con l’aggiunta di reparti in più: pronto soccorso Dea e medicina d’urgenza sempre nel Dea. Il problema é che il concorso per assumere medici, vista la carenza, è stato bloccato tempo fa dalla regione Puglia perché – come fa sapere il dottor Raffaele Gaudio, responsabile nazionale Fismu – l’organico, nonostante i vari pensionamenti, risultava sufficiente per un mancato aggiornamento. Ergo si fa quel che si può con le risorse disponibili.

La coperta però é troppo corta, così il pronto soccorso del “Fazzi” poiché deve coprire, seppure con un solo medico, l’emergenza nel Dea, perde due medici che deve assegnare uno al pronto soccorso Dea e l’altro nella medicina d’urgenza sempre nel Dea. In entrambi i casi i due colleghi lavorano da soli, con reparti che viaggiano oramai sugli oltre 30 pazienti al giorno nel primo e 20 nel secondo reparto, pensando a curare, ma anche a tutte quelle pratiche amministrative come scrivere in cartella per esempio. Una prassi che richiede la svestizione dalla tuta Covid, passando dall’area sporca a pulita, compilare moduli e quant’altro, per poi passare nuovamente a vestirsi alla prima chiamata dell’infermiere, perdendo minuti preziosi prima di entrare a vedere nuovamente il paziente, perchè non c’è un altro collega in zona rossa.
Pochi medici significa anche impossibilità a incremntare i ricoveri già troppi per un solo medico, significa che i pazienti aspettano in ambulanza che si liberi un letto. Purtroppo il rischio é che questa attesa si conclude a volte con il decesso in ambulanza, in attesa di un posto.

La medicina d’urgenza non è molto diversa dal pronto soccorso. Anche qui si può contare soltanto su un Oss perchè il secondo che c’era, é stato mandato via. C’è di più, perchè come per un effetto domino, la fatica enorme con la quale si lavora nel Dea, si ripercuote sugli altri ospedali, primo tra tutti il “Fazzi”. Qui da un paio di giorni, il pronto soccorso è di nuovo allo stremo ingolfato con una quindicina di pazienti in attesa di ricovero sulle barelle, senza poter contare più sulla medicina d’urgenza del Dea, che fungeva da transito per tutte quelle persone che non si riusciva a ricoverare tempestivamente.

Una decina di giorni fa infatti, subito dopo il focolaio nell’oncologia di Lecce, il direttore di presidio, dottor Maiorano, ha dato mandato al medico di svuotare entro la giornata, la medicina d’urgenza per liberare i letti da assegnare a pazienti Covid in arrivo. Perchè non si è attrezzato con più posti lo stesso Dea che ha reparti vuoti? Per mancanza di medici e infemrieri verrebbe da pensare, forse agendo per tempo si poteva pensare di spostare personale da altri ospedali, per far fronte ad un eventuale incremento di ricoveri, potenziando il numero di medici, infermeiri, Oss, scegliendo tra Copertino e Galatina quale lasciare aperto e trasferire personale dell’ospedale da chiudere nel Dea, così per Casarano, Gallipoli, Scorrano. Ma si tratta di avere coraggio nelle scelte e di affrontare anche i sindacati che non favoriscono spesso la mobilità. Così mentre nel Dea si scoppia, in altri reparti il perosnale è in esubero addirittura.

Ecco che allora la coperta é troppo corta e non potendo più prendere pazienti dal pronto soccorso “Fazzi”, ma ricoverando solo Covid, la medicina d’urgenza del Dea intanto non può più dare quel supporto al pronto soccorso del “Fazzi”, creando un intasamento di pazienti, di ambulanze in attesa di ricovero. Dieci persone sono state dimesse dalla medicina d’urgenza giorni fa, spostate altrove, per accogliere 19 persone da ricoverare, perchè positive.

Con i focolai che si sono registrati nelle ultime settimane, nel reparto di oncologia di Lecce prima, nei reparti di medicina e oncologia di Tricase poi, la medicina di urgenza si é riempita subito di pazienti positivi, arrivando a 19 ricoveri.

La rabbia viene quando, nel tentativo di spostare i pazienti per liberare i posti ai ricoveri Covid, il medico dopo vari tentativi fatti, dopo aver contattato più ospedali della provincia, non riesce a trovare posto il alcun nosocomio salentino, salvo poi constatare che, dietro telefonata del direttore di presidio, i posti sono comparsi all’istante. Cosi sei letti sono stati reperiti nell’oncologia di Gallipoli, dove evidentemente i pazienti oncologici sarebbero potuti stare sin dall’inizio, per essere meglio seguiti, visto che a sentire il medico del Dea, non avevano particolari sintomatologie da Covid, erano solo positive e richiedevano terapie oncologiche.

Ad ogni modo come se non bastasse, anche la rianimazione Dea é satura, con medici e infermieri costretti – ribadisce l’esponente della Fismu – a turni massacranti, con pressione da parte del responsabile. Un reparto quello della rianimazione Covid, che può contare su 20/22 posti letto disponibili, oggi tutti pieni. “Troppo pochi – dice Gaudio – per una popolazione di quasi 900 mila abitanti, che invece dovrebbe poter contare su quasi il doppio dei letti, ma per farlo serve ancora una volta il personale sufficiente.

In effetti a maggio dell’anno scorso, l’Asl pubblicò il bando per selezionare dieci anestesisti e rianimatori, ma quando finalmente si decide ad assumere, era la fine dell’anno e nel frattempo i medici avevano trovato una diversa collocazione, vista la grande necessità che c’è di rianimatori e/o anestesisti. Così l’azienda sanitaria é riuscita ad accaparrarsi un solo anestesista, vedendosi costretta a spostare nel Dea, gli specialisti della rianimazione di Gallipoli. Tre in tutto, non così tanti da aumentare le degenze, semmai da consentire turni più umani ai colleghi.

Peggiore la situazione da questo punto di vista a Galatina, ospedale Covid senza una rianimazione, con pazienti che la richiedono, ma di fatto non sempre la trovano. Il reparto sulla carta c’è, ma operativamente non ancora perchè mancano i rianimatori/anestesisti. Quelli che ci sono lavorano per l’ostetricia e ginecologia, aspettando che arrivi il parto d’urgenza. Così mentre si riempiono i reparti Covid anche a Galatina, non si trova uno “straccio” di posto in caso di complicanze.

Dalla centrale operativa del 118 non si sa più cosa riferire all’equipaggio in ambulanza, ovvero dove andare per portare il paziente bisognoso di ricovero Covid, specie se é da terapia intensiva/rianimazione. Certamente la situazione è difficile un pò ovunque, ma ci sono realtà che hanno programmato per tempo, imparando dalla prima ondata, hanno fatto tesoro per arrivare meglio organizzati alla seconda, poi alla terza e speriamo di no, forse anche alla quarta ondata.

Nel Salento invece si percepisce un’assenza di programmazione. Superata la primavera scorsa, durante l’estate si poteva pensare che sarebbe arrivata la brutta sorpresa in autunno e forse adegure meglio il Dea con l’ossigeno, sapendo che ci sarebbe stato bisogno. Oggi dopo un anno, “la disponibilità reale del gas – scrive Gaudio in un comunicato – aspetta una risoluzione definitiva, nel frattempo continua a condizionare pesantemente sui numeri di ricoveri.”

Forse, fermo restando l’oggettiva difficoltà di reperire medici e infermieri, si poteva intanto organizzare una razionalizzazione delle risorse umane disponibili, spostando personale dove serve, per esempio nel pronto soccorso e nelle terapie intensive, evitando turni massacranti per alcuni e reparti di calma piatta in altri.

Si sarebbe potuto forse assumere con procedure d’urgenza quelle figure fondamentali, per evitare lungaggini burocratiche con il rischio di perdere risorse umane fondamentali e magari aspettare a liquidare Oss precari, prorogandoli almeno fino alla fine dell’emergenza sanitaria.

Quando Emiliano è venuto a inauguarare i 16 posti di sub intensiva nella pneumologia del 4 piano del Dea, un paio di mesi fa, gli abbiamo chiesto se si era pensato a tutto, prima cosa al personale da aggiungere nel reparto, visto che si aumentavano i letti, perché non si trattasse di un’inaugurazione solo di facciata.

“Se mi fanno venire qui – ci rispose il presidente – vuol dire che il servizio è attivo a tutti gli effetti.” Oggi – ci fa sapere il dottor Gaudio – la sub intensiva del quarto piano, non é ancora andata a pieno regime.”

A ciò si aggiunge il mancato controllo sul rispetto dei percorsi distinti. Quando abbiamo raccontato l’anno scorso per più volte, della necesità di controlli e dei percorsi distinti negli ospedali, perchè si poteva ridurre il più possibile il numero di focolai nei reparti, si pensava che così facendo si sarebbe evitata almeno in parte l’assenza di tanti operatori sanitari per malattia, per quarantena. Cosa che invece accade sistematicamente, non vengono rispettate sempre le regole anticovid e non c’è nessuno che controlli. Oggi ci troviamo con la chiusura di attività e reparti per impiegare personale in altre zone più affollate, dove i dipendenti sono ridotti all’osso per l’assenza di colleghi in malattia o quarantena.

I controlli forse andrebbero fatti anche su tante malattie dichiarate casualmente dopo un ordine di servizio o una mobilità per l’emergenza Covid. Come é successo a Galatina, dove l’Asl ha dato mandato di spostare infermieri dagli uffici, in corsia dove in questo momento servono come il pane, poche ore dopo, l’80% dei dipendenti hanno comunicato malesseri e malattie varie, restando a casa.

Ecco, oltre all’emergenza Covid che intasa le corsie degli ospedali, forse la situazione nel Salento potrebbe essere molto più lieve, se ci fosse stata una maggiore programmazione pensando per tempo sul da farsi, almeno laddove era possibile, purtroppo come ha detto più volte lo stesso Emiliano l’estate 2020 c’é stata campagna elettorale.

Roberta Grima
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