Sono settimane che scriviamo che il “Vito Fazzi” rischia di diventare un focolaio Covid, stando a quanto riferiscono alcuni dipendenti ospedalieri, che naturalmente chiedono di rimanere anonimi, dopo la circolare a firma della dottoressa Sonia Giausa e del direttore Rollo, che vieta ai lavoratori dell’azienda sanitaria, di avere rapporti con i mezzi di informazione. Questa scelta per l’Asl creerebbe un clima di maggiore preoccupazione e diffidenza. E’ anche vero però, che diversamente non sapremmo quello che succede in alcuni reparti e che abbiamo già pubblicato.
Quello che non si voleva far sapere
Forse non avremmo saputo della promiscuità che in alcuni casi si è verificata nell’ospedale leccese tra Covid e no Covid. Non avremmo saputo di extralocazioni di pazienti sospetti, in reparti differenti dagli infettivi, come non avremmo saputo di pazienti positivi al virus, ricoverati in reparti poi non bonificati, se non nella sola stanza di degenza. Non avremmo neanche potuto raccontare di tamponi eseguiti su personale e pazienti, i cui risultati sono arrivati dopo tre giorni, anche cinque nel caso della medicina di Gallipoli e nell’attesa sapere che il personale ha continuato a lavorare essendo potenzialmente infettivo. Non avremmo potuto raccontare nemmeno del primario di chirurgia toracica positivo, dopo un ricovero di un uomo Covid e della chirurgia toracia rimasta comunque aperta, anche se con il personale in quarantena. Non avremmo potuto dire della chirurgia plastica, chiusa dal 28 marzo o dell’infermiere dell’anestesia positivo, che ha avuto contatti con tanti suoi colleghi del blocco operatorio e non. Non avremmo potuto sapere che non tutti coloro che hanno avuto contatto con l’infermiere, sono stati messi in quarantena, ma ha continuato a lavorare sino a quando su singola iniziativa dell’operatore, sono rimasti a casa. Non avremmo potuto informare della medicina 1 dove un uomo ricoverato per salmonella, è risultato positivo, costringendo il personale del turno ad andare in quarantena e non avremmo saputo che i colleghi del cambio, sarebbero dovuti andare a prendere servzio perchè nessuno ha detto loro immediatamente, di stare a casa.
Ritardi, bonifiche parziali, mancati percorsi tra Covid e no Covid, mancati tamponi agli asintomatici potenziali veicoli del virus. Uno scenario non molto diverso da quello raccontato nel “Perrino” di Brindisi, dove la procura ha aperto un’inchiesta. Quello che é mancato sin’ora, é stata una cabina di regia che prendesse le redini del “carro” per guidarlo nella giusta direzione. Spesso si è agito sulla base dell’iniziativa del singolo infermiere, medico o oss, che si é autodenunciato dopo aver lavorato nel reparto infetto o ha chiesto di essere sottoposto a tampone o di andare in quarantena. La percezione che in molti hanno nell’ospedale di Lecce, é di smarrimento, forse è mancata una comunicazione chiara e uguale per tutti a parità di situazioni, su cosa fare e soprattutto non fare. Ciò non ha aiutato ad arginare il virus. Forse comunicare con la stampa sarebbe stato utile da parte dell’Asl per chiarire ai cittadini, ma ancor prima ai dipendenti che sono in prima linea, come comportarsi davanti a questa emergenza inaspettatta.
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