Angela é una mamma che ti lascia il fiato sospeso quando racconta del suo ragazzo di ventiquattro anni. Per loro da quando c’è l’emergenza Covid e l’obbligo di uscire solo in casi di stretta necessità, non è cambiato nulla. La loro vita è da sempre una quarantena, chiusi a casa 24 ore su 24 o quasi, per via della malattia di Maurizio (nome di fantasia), che da una decina di anni l’ha inchiodato su una sedia a rotelle, paralizzandolo dal tronco in giù.
Il ragazzo è affetto da sclerosi multipla da quando aveva un anno e mezzo e con il tempo é andato sempre peggiorando. Ora Maurizio ha un grave deficit respiratorio ed ha bisogno di un ventilatore polmonare che gli impedisce di stare fuori, frequentare luoghi, centri riabilitativi o altro.
Una mamma che si distrugge per dare ciò che il sistema snaitario non dà
Provate a immaginare cosa deve essere la vita di questo ragazzo consapevole di sè e di quanto fa sua madre, che si fa carico di tutto. E’ lei che da sola solleva di peso suo figlio dal letto al mattino, che lo aiuta nell’igiene, nel vestirsi, è lei che gli pratica i massaggi, é lei che fa da fisoterapista, che tiene sottocontrollo la sua situazione sanitaria.
In questo periodo di emergenza poi, a casa di Angela non si vede nessun medico, nessun infermiere o operatore socio sanitario, neanche solo per dare una mano alla donna che oramai al mattino non solleva più dal letto un bambino, ma un uomo.
Una vita sospesa dal Covid-19
“Sino ai primi di marzo veniva il fisoterapista tre volte a settimana – dice Angela – era non solo salutare per Maurizio, ma fungeva anche da supporto psicologico al ragazzo e consentiva a me di avere un’oretta di respiro per fare la spesa, pagare le bollette o semplicemente per fare una passeggiata. Anche noi genitori abbiamo bisogno di ricaricarci per i nostri figli. Da un mese e mezzo però, é tutto sospeso e io sono chiusa in casa con mio marito, mio figlio ad occuparmi di tutto.”
L’assistenza domiciliare solo se il paziente è gravissimo
La gente si lamenta perchè è chiusa a casa da due mesi, ma Angela rimpiange quel periodo in cui la sua vita si limitava ad uscire solo quando necessario, ora la situazione è peggiorata. Come si fa a dire a questa madre e a suo figlio di aspettare per avere le visite mediche, di aspettare per poter fare la fisioterapia quando questa non era solo utile, ma rappresentava l’unico diversivo. Come si fa a negare un’assistenza domiciliare a questa donna per suo figlio.
Eppure l’asl lo ha fatto. “Mi è stato detto – dice Angela – che non posso avere l’ADI per mio figlio perchè si dà solo ai disabili gravissimi. Lui ha bisogno spesso di un ventilatore polmonare perché ha un deficiti respiratorio, non beve, non cammina, mangia solo omogenizzati, cosa bisogna aspettare per avere aiuto ?
Un assegno economico che si riduce in tempi di crisi
Dobbiamo farci forza e arrangiarci da soli. Io oramai non lavoro da una decina di anni per prendermi cura del mio ragazzo, quando la Regione ci dava l’assegno di cura di 1000 euro riuscivamo a sopravvivere, ma adesso con il tempo la malattia va peggiorando i bisogni sono aumentati, a restare senza lavoro con la crisi del Covid ora, non sono soltanto io, ma anche mio marito. Così invece di avere un supporto se non sanitario almeno economico, vediamo ridurci l’assegno già passato da 1000 a 900 euro. Per quest’anno si parla di ulteriore ribasso per arrivare a circa 600 euro con cui far fronte alle spese per Maurizio. Devo pagare un persona che stia con lui se decido di allontanarmi, ho necessità di acquistare prodotti particolari per la sua igiene, creme per prevenire le piaghe da decubito per chi, come Maurizio, si muove poco e incorre a tante problematiche, pago presidi come le traverse per il letto e i farmaci anche se abbiamo l’esenzione, ci costano dai 30 ai 50 euro a settimana per il tiket che comunque paghiamo.
Ci hanno lasciato soli” – dice Angela – e purtroppo ha ragione.
Curiamo i nostri figli al posto dei servizi sociali e dell’asl, lasciamo il lavoro, ma non abbiamo alcun diritto
La cosa peggiore é che quando la signora si è rivolta ai servizi sociali del comune di Bari, si é sentita dire che visto che suo figlio percepisce l’assegno di cura, lei e la sua famiglia pur avendo un reddito di 1900 euro al mese, non ha diritto ad alcun sostegno economico: né buono spesa, né buono farmaco. “Non capiscono che siamo disperati, che quell’assegno che ci arriva è per un malato grave, non per sfamare un nucleo familiare e invece finisce che siamo costretti a utilizzarlo proprio per sostenere tutta la famiglia, ma così non può essere.” Dice Angela. “Il comune si é scrollato di dosso la gente come noi, la Regione nei nostri confronti é sorda da sempre.”
Ecco se è vero che dopo questa epidemia saremo diversi e non sarà più come prima, se così deve essere, l’auspicio é che questo nostro sistema welfare cambi, che Maurizio possa avere la sua dignità, possa lavarsi e vestirsi aiutato da un uomo forte che lo sollevi, che possa uscire anche se ha bisogno di un ventilatore, possa avere il suo fisioterapista e possa vedere sua madre un pò più serena.
Cambiare dopo il Covid partendo dal welfare
Provare a cambiare e pensare per esempio che investire nel sociale può essere un modo non solo per aiutare l’altro, ma anche per risollevare questo paese economicamente. Restituire dignità a queste persone, offrendo servizi sociali, servizi riabilitativi, assistenza sanitaria, può significare assumere giovani, risparmiare nella spesa farmaceutica, ospedaliera, attivare la telemedicina, crescere anche come regione.
Investire nei servizi senza più troppo assistenzialismo
In questi giorni il governo pugliese è alle prese con un nuovo metodo e criterio per distribuire l’assegno di cura alle famiglie pugliesi beneficiarie. Ne hanno contate circa 6000, ma é un’impresa difficile dare il giusto sostegno per garantire tutte le necessità che un malato grave comporta. Si é già scatenata una lotta tra poveri in passato, una discriminazione tra categorie di pazienti più o meno gravi. Chissà se il Covid porti a fare scelte mai fatte prima, magari assumere più persone in modo da garantire più servizi, invece di dare un contributo a tutte le famiglie bisognose, con il rischio di vedersi costretti a escluderne alcune per insufficienza di risorse, forse investire in servizi e personale, converrebbe economicamente e diventeremmo un paese più civile.
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