Tamponi al personale della cardiologia che continua a lavorare

Tamponi al personale della cardiologia che continua a lavorare

Tutti in fila l’altro giorno ad affollare il corridoio davanti allo studio del medico del lavoro dell’Asl di Lecce, dottor Carlo Siciliano. Al piano terra del “Vito Fazzi”, c’erano medici, molti infermieri e oss della cardiologia, dell’utic (unità terapia intensiva cardiologica), qualcuno dell’emodinamica. Tutti in attesa di essere sottoposti al tampone, dopo il caso di un paziente positivo nella cardiologia.

Dopo il tampone c’é chi lavora invece di stare a casa
Buona parte del personale sottoposto al test però, ha continuato e continua a lavorare regolarmente, senza aver completato prima il periodo di quarantena. Non si comprende quale sia il criterio in base al quale dipendenti sottoposti al controllo, circolino subito dopo il tampone. Alcuni avrebbero il risultato negativo altri sono in attesa e però prestano servizio

Si lavora, si fa la spesa, col dubbio di essere positivi al Covid
Non è la prima volta che lavoratori ospedalieri venuti in contatto con pazienti o colleghi positivi, vengano sottoposti al tampone e lasciati liberi di lavorare, non essendo in quarantena sono liberi anche di andare a fare la spesa per esempio, con il rischio di essere positivi al virus e contaminare altri ambienti, contagiare persone, colleghi e familiari.

Le regole chiare del prof. Leopalco
Eppure il professore Lopalco che abbiamo sentitito telefonicamente è stato chiaro: “Se ad una persona è stato fatto il tampone – ha detto – vuol dire che c’é stato un contatto stretto con il paziente positivo al virus. Noi abbiamo dato delle regole abbastanza precise – ha continuato il professore – se c’è stato un contatto stretto con una persona positiva al virus, il lavoratore o operatore sanitario che sia, deve essere allontanato dal luogo del lavoro. Al settimo giorno da questo isolamento, l’operatore sanitario può rientrare se il risultato del tampone é negativo.”

Quello che è accaduto all’ospedale di Lecce, in passato anche in altri nosocomi, é tutt’altro. Lo sa bene Mariella (nome di fantasia) che ci racconta come nell’ospedale dove lavora, quello di Lecce, ci siano figli e figliastri, ovvero alcuni dipendenti che, eseguito il tampone vengono mandati in quarantena come è giusto che sia, altri pur avendo fatto il test continuano invece a lavorare in reparto. Perché ? Forse perché i reparti devono continuare a funzionare e non sempre si riesce a reperire altro personale per mantenere attivo il servizio ? “Se così fosse si potrebbero ridurre i reparti dei vari nosocomi, concentrando tutto il personale del territorio in uno o due strutture – suggerisce l’operatrice sanitaria – in modo da aumentare i dipenenti e avere sempre una equipe sana in sostituzione di quella sotto tampone che dovrebbe andare in quarantena.” Ma tant’è.

Burocrazia cieca
Mariella sa che non è così visto che a fine marzo, proprio lei segnala a chi di dovere, di non stare bene e avere 38 di febbre. “Il dottore Siciliano – racconta – mi ha immediatamente mandata a casa, così è stato e mi sono messa in malattia. Nel frattempo si viene a sapere che un paziente e un medico con i quali ero stata in contatto erano risultati positivi. L’angoscia sale e mi aspettavo a quel punto che qualcuno dell’Asl venisse a casa a farmi il tampone, che stranamente è arrivato al 12esimo giorno della mia malattia, dopo mia insistenza. Quando la domenica mi comunicano che il mio tampone era negativo – ricorda Mariella – il giorno dopo rientro in ospedale. Quella mattina vengo chiamata da un altro reparto per dare una mano nel trasporto di pazienti che dovevano andare in radiologia per degli esami diagnostici. In tarda mattinata emergono due pazienti positivi, tutto il personale del reparto é sottoposto al tampone e mandato in quarantena, io mi autodenuncio come operatrice che si é trovata in quel reparto contaminato a contatto con i due pazienti positvi. Chiedevo quindi il test anch’io, ma non mi é stato fatto perchè non risultavo appartenente a quell’unità operativa. Ho continuato quindi a lavorare nel reparto di appartenenza col dubbio di poter essere positiva al virus e trasferirlo da un reparto all’altro.

Come si può contenere il virus in questo modo se noi stessi siamo veicolo di contagio ? A ciò si aggiunge che spesso non abbiamo le protezioni che ci servono o se ce le abbiamo sono cotante su un palmo di mano. La mia rabbia é che sto continuando a lavorare nonostante sia stata per ore a contatto con pazienti Covid, per di più con mascherina semplice, senza tuta o camice idrorepellente, con calzari fatti da me e con un sapone che mi porto da casa perchè abbiamo una sola bottiglia di amuchina che deve bastare per disifenttare tutto: mani, arredi, ecc…senza però sapere se ho contratto il virus oppure no.

C’è da capire a chi spetta mettere in quarantena il personale sottoposto al tampone. E’ il referente del reparto che impone al dipendente di stare a casa, l’ufficio del medico del lavoro, del personale o lo staff della direzione santiaria del presidio ?

Roberta Grima
ADMINISTRATOR
PROFILE