Tre giorni di ricovero senza ricevere alcuna cura, con uno spreco di 3000 euro solo per le giornate di degenza, oltre un migliaio per il chemioterapico e i cateteri, tutto materiale mono uso buttato via. E’ il risultato di cinque mesi di attesa, per avere un trattamento medico contro il tumore del fegato. L’odissea è quella di un uomo malato di cancro al fegato, recatosi a marzo scorso, nel reparto di malattie infettive di Galatina, dove sorge un centro dedicato all’epatocarcionoma.
Qui il medico consigliò all’uomo, una seduta di chemioembolizzazione, un trattamento mininvasivo, in grado di bruciare il nodulo maligno, evitando il tradizionale intervento chirurgico, con maggiori benefici per il paziente. La prestazione, sarebbe stata eseguita da un radiologo interventista che, dal “Fazzi” sarebbe giunto a Galatina. Per ben due volte però il medico si é spostato inutilmente. La seduta di chemioembolizzazione, viene rimandata per una disorganizzazione del servizio: manca una sala operatoria disponibile, sia a Lecce che al “Santa Caterina Novella2, dove sono sempre occupate dagli interventi chirurgici, così come gli anestesisti che seguono l’attività operatoria. Non solo, l’apparecchiatura necessaria per la chemioembolizzazione, è in dotazione alla cardiologia galatinese e difficilmente si può spostare nella sala operatoria, anche a Lecce l’angiografo è di fatto inaccessibile per le chemioembolizzazioni, viene infatti usato esclusivamente dalla neuroradiologia.
A complicare le cose, la comunicazione del direttore sanitario del nosocomio galatinese, che spiega come per la chemioembolizzazione, occorre la presenza di un infermiere proveniente dall’oncologia, considerato che deve maneggiare un chemioterapico, con eventuali radiazioni. Su questa nota, si allunga ulteriormente l’attesa del paziente, che non riesce ad avere disponibilità immediata di personale. Da aprile quando era stata organizzata la seduta, si arriva ai primi di agosto, quando finalmente viene programmato l’intervento. Il paziente viene ricoverato per tutti gli accertamenti, il giorno successivo alle 8 arriva in sala operatoria, che però risulta occupata per un ora e mezza. Il figlio del degente, va in escandescenza, l’attesa continua e la seduta salta, per l’assenza dell’infermiere che non si presenta, non avendo letto in tempo la comunicazione che lo voleva in sala operatoria. Il ritardo ha buttato circa 4000 euro, quanto due mensilità di un infermiere.