Chiuso il tubo “Fazzi” – Dea, si attende l’ok dei vigili per l’attivazione, intanto si pensa al verde

Chiuso il tubo “Fazzi” – Dea, si attende l’ok dei vigili per l’attivazione, intanto si pensa al verde

Chiusa la condotta che collegava la centrale dei gas biomedicali del “Vito Fazzi” al Dea, che oramai viene rifornito di ossigeno autonomamente dai serbatoi del proprio impianto. Il sistema ripristinato come da progetto originario potrà così garantire il funzionamento del Dea come dipartimento di emergenza e assistenza, secondo le sue originarie funzioni. Questa almeno l’intenzione della direzione Asl.

Sino a qualche settimana fa, la fornitura di ossigeno nel Dea era assicurata tramite la condotta di collegamento dall’ospedale “Fazzi” in modo del tutto inaffidabile e non a norma. A dirlo é l’ingegnere Alfredo Magnanimo nella relazione del 17 giugno scorso, che il professionista, consulente del direttore generale dell’Asl leccese per gli impianti Dea e “Fazzi”, ha inviato a Rodolfo Rollo. Nel documento si legge che il Dea é stato alimentato da un tubo che non presentava il livello di sicurezza e affidabilità richiesto ad un dipartimento di emergenza quale sarebbe dovuto essere il plesso, né tantomeno per un ospedale Covid quale poi é diventato in seguito alla pandemia.

La condotta – si legge nella relazione – aveva una portata di ossigeno verso il Dea pari a 115 metri cubi, contro i 187 previsti dal progetto originario e approvato dai vigili del fuoco.

La criticità dell’alimentazione – continua l’ingegnere – é stata ulteriormente incrementata dal significativo aumento del fabbisogno di ossigeno determinato dai ricoveri, che durante la pandemia andavano a registrarsi nell’ospedale Covid. Una variante d’uso, quella del Dea, da dipartimento di emergenza a ospedale Covid, importante – dice Magnanimo – che già da sola avrebbe dovuto comportare una diversa configurazione del sistema che, se fosse stato autonomo, sarebbe stato secondo l’ingegnere, semplice ed agevole, ma poiché era dipendente dalla centrale del “Fazzi”, si é dimostrato molto più complesso e rigido. Un impianto quello che portava ossigeno dal “Fazzi” al Dea, che Magnanimo definisce promiscuo e che avrebbe ridotto ancora di più la sicurezza.

Non solo, ma come noi di SanitàSalento denunciammo in questa nostra inchiesta che oramai va avanti da due anni, la trascuratezza della manutenzione dell’impianto, avrebbe esposto a rischi i pazienti ricoverati visto che Magnanimo nella relazione di giugno, denuncia che i quadri di emergenza dai quali si regola la portata di ossigeno, installati dal fornitore Air Liquide, sarebbero stati per tutto il tempo della pandemia alla mercè di chicchessia. In particoalre l’ingegnere scrive che i quadri posti sulla parete retrostante il Dea ad altezza uomo, sono apparsi privi di qualunque protezione per cui le due valvole che si trovano all’interno del quadro, potevano essere manomesse volontariamente o no da chiunque, provocando anche l’interruzione dell’erogazione di ossigeno nell’edificio ospedaliero.

foto di repertorio

Le conseguenze non richiedono neppure di essere commentate – dice Magnanimo – che ricorda al direttore Rollo come più volte é stata denunciata questa anomalia pericolosa, così come venne segnalato anche da noi di SanitàSalento il vetro rotto di uno dei quadri, senza però ottenere alcun riscontro apparente. L’evidente precarietà dell’impianto, ha spinto – scrive Magnanimo – ad accelerare tutte le procedure per far subentrare il nuovo fornitore di ossigeno che ha vinto la gara, la Sapio Life, ripristinando l’impianto secondo il progetto originario. Ma perché la Sapio subentri a tutti gli effetti alla vecchia ditta, é necessario che il responsabile unico di procedimento (Rup), sia in possesso di tutta la documentazione utile per il passaggio di consegne, in particolare del registro di manutenzione che ad oggi – conclude l’ingengere Magnanimo – non si é ancora visto.

A disposizione ci sarebbe solo un plico cartaceo, dei report senza però alcuna firma da parte del direttore esecutivo del contratto (Dec) come di norma dovrebbe essere. Le osservazioni riportate dal consulente del direttore generale dell’Asl, mirano a risolvere una condizione di precarietà che forse potrebbe rendere difficile non solo il funzionamento del Dea come possibile ospedale Covid, ma anche come Dea stesso. Si tratta di segnalazioni – spiega l’ingegnere – che puntano a rimuovere situazioni di stallo che potrebbero – conclude Magnanimo – degenerare in ipotesi di reato, oltre che di danno erariale.

Così mentre si inaugura “il giardino del benessere” realizzato davanti al Dea, che per irrigazione, fornitura, piantumazione di due alberi della canfora, un albero dei rosari, un pioppio, acquistati durante la pandemia dal vivaio Giuranna di Parabita, richiedendo 9 mila euro + Iva, si aspetta che i vigili del fuoco diano l’approvazione per l’inizio di attività dell’edificio che attorno però, vede ancora zone con erba alta a rischio incendio. Dopo una quindicina di solleciti da parte della Siram, la ditta preposta a realizzare la messsa a terra del secondo serbatoio di ossigeno del Dea, perchè venisse tagliata l’erba attorno alla centrale elettrica, le squadre di SanitàService hanno cominciato a lavorare.

Il lavoro della società partecipata dell’Asl é molto più esteso, perchè come già scritto mesi fa, l’intervento del verde prevede tra le altre cose anche la realizzazione di giardini pensili sul tetto del Dea, un’opera che richiederà un investimento pari a 100 mila euro, come ci aveva riferito mesi fa Luigino Sergio amministratore unico di SanitàService.

Roberta Grima
ADMINISTRATOR
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