Nel giro di due, tre settimane potrebbe essere riattivata la centrale criogenica autonoma del Dea, funzionale all’erogazione dell’ossigeno nei reparti attualmente Covid, alimentati oggi dalla condotta di collegamento al “Fazzi”.
Proprio due giorni fa, c’è stata una riunione tra le parti coinvolte: l’ingegnere Magnanimo, consulente del direttore dell’Asl leccese Rollo, uno dei responsbili della realizzazione dell’impianto dei gas medicali del Dea, con lui, i colleghi dell’ufficio tecnico dell’Asl salentina: ingegneri Massimo Marra, Andrea Zocco, Lentini, un esponente della ditta Sapio, vincitrice del nuovo appalto per l’erogazione dei gas medicali nelle strutture dell’azienda sanitaria salentina, la dottoressa Antonaci, farmacista dell’Asl e il responsabile dell’ufficio patrimonio dell’azienda sanitaria, Cosimo Dimastrogiovanni.
Si è così stilato un cronoprogramma sulle cose da fare. Una corsa contro il tempo, cominciata forse un pò tardi, visto che la terza ondata si sta facendo ormai sentire con tutto il suo peso. “Ho chiesto e ottenuto subito – ha detto l’ingegnere Magnanimo – di stralciare il dossier Dea dalle altre strutture ospedaliere, proprio per non condizionare i tempi urgenti di un ospedale Covid, da quelli degli altri nosocomi.” Nel primo va attivata immediatamente la centrale autonoma, per consentire un flusso maggiore di ossigeno, così come aveva scritto nella sua relazione a novembre scorso, lo stesso ingegnere, ascoltato pochi giorni fa dalla guardia di finanza, in merito proprio all’impianto di ossigeno del Dea.
Non c’é tempo e bisogna far presto perchè in questi ultimi giorni il Dea ha alzato bandiera bianca: sino a due giorni fa non era più in grado di ricoverare nessuno, l’ossigeno non bastava più. “Siamo al limite massimo” – avevano detto i medici.
Solo qualche giorno fa, si contavano: ambulanze in sosta con il paziente e in attesa di sbarellare, 25 pazienti in pronto soccorso con un solo medico aspettando un posto letto libero, oggi sono 27, satura anche la rianimazione e la pneumologia Covid del quarto piano. A sentire il personale non é possibile ricoverare pazienti in più, perchè l’ossigeno non sarebbe sufficiente a sostenere nuovi ricoveri, oltre a quelli che già ci sono.
In effetti nella relazione di novembre scorso, a firma del professor Magnanimo, si legge che la modifica voluta dall’azienda sanitaria all’impianto criogenico della struttura, con la condotta di collegamento alla centrale del “Fazzi”, “determina problematiche importanti in termini di affidabilità e fuzionalità.”
Secondo Magnanimo, “una tubazione interrata come quella di collegamento tra Dea e “Fazzi”, posta in area non protetta, non può garantire un elevato grado di affidabilità. Non solo, ma un’eventuale interruzione dell’unica alimentazione che attualmente c’è di ossigeno, ai reparti Covid, pone fuori servizio l’intero Dea, cosa che non accadrebbe se questo avesse una centrale propria, con collegamento diretto.
Infine: la centrale autonoma conferirebbe al sistema di alimentazione, stando a quanto si legge nella relazione dell’ingegnere, un grado di flessibilità molto più elevato di quello attuale, con il vantaggio di poter variare la configurazione delle utenze, con un’oculata gestione dei carichi delle montanti.
Tradotto significa che la centrale autonoma di gas medicali del Dea, con un collegamento diretto, permette molto più facilmente di regolare i flussi di ossigeno in base alle necessità, per cui in tempi come quelli che stiamo vivendo, i carichi di gas si sarebbero potuti potenziare e con essi anche il numero di ricoveri.
Cosa che evidentemente non è, se gli operatori sanitari da più parti, riferiscono di difficoltà nel ricoverare al Dea, tanto da dirottare le ambulanze a Galatina, che invece, stando ancora oggi senza una rianimazione, non dovrebbe accettare i pazienti gravi.
I problemi del Dea quindi, scatenano un effetto domino con un’enorme difficoltà, anche per gli altri ospedali.
A Galatina, dove a dover fra fronte all’emergenza è il reparto di malattie infettive Covid con 24 posti letto, ad oggi tutti occupati, si contano 10 pazienti in C-PAP e 3 con ventilazione ad alti flussi, una metà con ossigenoterapia. Sono tutte persone che potrebbero aggravarsi da un momento all’altro e che potrebbero avere delle chances in più, rimanendo in un ospedale meglio attrezzato con rianimazione/terapia intensiva.
Invece si lavora praticamente a mani nude, vedendo in questa terza ondata, diverse persone giovani tra i 50 e 60 anni, non più tanti anziani come nella primavera scorsa che “Qui da noi – aveva confessato il direttore del “Santa Caterina Novella” ad un cittadino, mesi fa – vengono praticamente a morire, se la direzione non ci attrezza con una terapia intensiva/rianimazione e con gli anestesisti sufficienti.”
In effetti finita la prima ondata, era stato deciso nel piano Covid dell’estate scorsa, di collocare i casi più complessi all’ospedale Dea di Lecce, perchè attrezzato di spazi e servizi necessari, primo tra tutti la terapia intensiva/rianimazione, lasciando i meno gravi a Galatina, nelle more di realizzare anche lì il medesimo reparto in caso di complicanze, così come stabilito dalla Regione. E’ passato un anno quasi, da quella decisione regionale, ma a Lecce l’impianto di ossigeno è ancora quello inidoneo e attualmente insufficiente, con un tubo che collega il “Fazzi” e il Dea e che tra l’altro non sappiamo se sia adatto nel caso in cui il Dea venisse alla luce con le sue funzioni originarie: 331 posti letto, un centro cuore, 12 sale operatorie, anche in quel caso i volumi di ossigeno servirebbero in quantità elevata da richiedere la centrale autonoma, come era stato progettato.
L’Asl sta correndo però ai ripari con l’attivazione di tutte le procedure per l’accensione della centrale autonoma criogenica del Dea, ci vorranno però i tempi tecnici per effettuare i sopralluoghi del caso, controllare 462 prese, bocchettoni, montanti ecc…
Allo stesso modo a Galatina si sta lavorando per attivare 6 posti letto di sub intensiva nelle malattie infettive, 4 posti di terapia sub intensiva nella medicina. E’ partita comunicazione ufficiale dalla direzione dell’Asl ai reparti interessati, come riportato dalla stampa locale, ma i malati di sub intensiva – spiega un medico del 118 – hanno gravi insufficienze respiratorie e potrebbero incorrere più facilmente a complicanze, serve avere per questi casi una rianimazione che ad oggi non ci risulta.
A conferma di ciò, le parole del dottore Montanaro del dipartimento della salute della Regione Puglia, da noi interpellato telefonicamente qualche settimana fa, secondo il quale non si possono attivare posti letto di sub intensiva senza aver realizzato prima un reparto di terapia intensiva/rianiamzione, ne va della sicurezza dei malati. Meglio allora ricoverare a Lecce, dove questi servizi esistono, con personale specializzato, più saggio sarebbe stato agire per tempo, durante l’estate e farsi trovare oggi più pronti.
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