La Puglia riceve molto, ma dona ancora poco

La Puglia riceve molto, ma dona ancora poco

Si era iscritta a 18 anni all’aido come donatrice di organi, Rita Cuna però mai avrebbe pensato che a distanza di vent’anni, si sarebbe salvata la vita, grazie ad un fegato donato. Proprio lei che aveva partecipato a convegni per sensibilizzare la comunità alla donazione, che aveva imparato cosa fosse la morte cerebrale e quanto fosse importante essere donatrice, proprio lei è diventata a distanza di tempo, una ricevente; per l’esatezza la 40esima nella Regione Puglia, a subire un trapianto di fegato per un’epatite fulminante che la colpì il 9 maggio del 2001. A distanza di 16 anni, Rita è diventata presidentessa regionale dell’AITF (associazione italiana trapianti di fegato) e oggi va in giro per tutta la Puglia a testimoniare la sua esperienza, va anche nel centro trapianti di Bari a dare conforto a chi è trapiantato e fa fatica ad accettarlo, soprattutto è presente nelle scuole a raccontare cos’è la donazione.

Insieme a lei, la dottoressa Marika Carbonara, medico nefrologo, la dottoressa, è coordinatrice per l’asl di Lecce, del servizio di donazione e mira a promuovere la cultura della solidarietà, andando negli istituti scolastici del Salento di ogni grado, ricordando ai ragazzi che un solo donatore può salvare la vita a sette persone.

Un ruolo importante quello della dottoressa Carbonara, soprattutto in un territorio come quello del Salento, che in materia di donazione è ancora indietro. Eppure i pugliesi sono conosciuti come gente generosa, ma la Puglia è ancora una regione che dona poco e riceve molto, ma fuori i confini regionali.
Nel centro trapianti di Bari, sono stati eseguiti 54 trapianti di rene, poco più dei 30 previsti dalla legge italiana, come minimo sindacale, perché una struttura possa definirsi per il ministero della salute, un centro trapianti idoneo e sicuro. 20 invece sono stati i trapianti di fegato, il ministero ne stabilisce minimo 25 e altrettanti sul cuore, la nostra regione però, ne conta appena 2. La Puglia dunque é al limite in materia di trapianti, anche perché ci sono ancora pochi organi disponibili e il numero dei donatori risulta insufficiente rispetto alla domanda, con 51 donatori nel 2016, contro i 163, più del doppio, raggiunti nello stesso anno dall’Emilia Romagna, pur avendo, le due regioni, lo stesso numero di abitanti: poco più di 4 milioni. (dati dei centri trapianti regionali)

Durante l’assemblea dell’associazione italiana trapianti del fegato, svoltasi a Lecce a fine aprile scorso, il dottore Lupo, chirurgo del centro trapianti di Bari, ha mostrato i dati registrati al 1 dicembre dello scorso anno, evidenziando come 460 pugliesi sono in attesa di trapianto presso i centri fuori dalla Puglia, costituendo per il nostro sistema sanitario, un costo di mobilità pari a poco più di 3 milioni di euro nel 2015, solo per i trapianti di fegato. I dati sconfortanti già dal 2002, sono stati presentati al governo regionale più volte, l’ultima nel 2015, “ma a distanza di due anni – dice Lupo – non è cambiato nulla.”
Eppure “Le attività di trapianto di organi e tessuti, costituiscono obiettivi del Servizio Sanitario Nazionale”. Questo dichiara l’articolo 2 della legge n.91/1999. Una legge che però non aiuta ad incrementare il numero dei donatori, come sottolinea la dottoressa Carbonara: “in Italia il cittadino che intende donare, deve per legge, esprimerlo in maniera esplicita, una sorta di vero e proprio testamento biologico, non esiste cioè un silenzio assenso, come in Spagna, dove chiunque nasce, é già donatore, non a caso la penisola iberica è leader per numero di donazioni.”

Sul territorio nazionale, la Puglia risulta ancora fanalino di coda, le ragioni di questa “maglia nera”, sono molteplici: donare è per molti, una deturpazione del corpo del proprio defunto, come sostiene il dottore Domenico Corlianò rianimatore del nosocomio di Scorrano: “c’è ancora una cultura, tutta meridionale, per la quale si tende a voler portare a casa il parente in fin di vita, per vivere gli ultimi giorni in famiglia, piuttosto che in un letto di ospedale, venendo così meno la possibilità di prelevare organi che potrebbero ridare la speranza a tante vite in pericolo.”

Il problema culturale, colpisce anche lo stesso personale sanitario. “Nelle rianimazioni – dice Filippo De Rosa, rianimatore del Vito Fazzi di Lecce – c’è ancora chi davanti ad un paziente anziano deceduto, pensa di non poter trovare alcun potenziale donatore. Non è questo il messaggio, si può donare a qualunque età – aggiunge De Rosa – l’importante è che gli organi siano in buono stato. Non c’è un limite anagrafico per donare.”
“Perché avvenga la donazione – spiega Giancarlo Negro, rianimatore nell’ospedale di Casarano – è necessario che si accerti la morte encefalica, ovvero la mancanza delle funzioni cerebrali. Ci sono rianimazioni dove gli accertamenti di morte cerebrali non si fanno e quindi nemmeno le donazioni.”

“La carenza di posti letto di neurochirurgia – aggiunge lo specialista – fa si che molti potenziali donatori, ovvero persone che hanno gravi lesioni cerebrali, vengano ricoverati in reparti non idonei, sfuggendo così ad un potenziale prelievo d’organi, sono quelle che vengono definite morti silenti.”

“Purtroppo ci sono in Puglia rianimazioni – ha detto il vicepresidente regionale dell’AIDO, Pino Neglia – con 10 posti letto che per molti anni non hanno mai registrato accertamenti di morte cerebrale, il che è alquanto strano. Tradotto significa: zero donazioni. Poi c’é chi non ha spazi e letti sufficienti, né tanto meno una neurochirurgia da dove attingere possibili donatori, eppure riesce con appena 4 posti letto ad essere la prima rianimazione in Puglia per numero di donatori, proprio come il reparto di anestesia di Casarano.” Questo ha tutte le carte per essere una vera eccellenza, se solo fosse potenziato con più posti letto, basterebbe aprire la nuova ala del reparto già esistente, in grado di accogliere 5 posti in più, arrivando così a 10 totali. Quello che invece ha stabilito la politica regionale con il nuovo riordino ospedaliero, è la chiusura del reparto e il declassamento del nosocomio. L’AIDO Puglia sta presentando una dimostranza al governo di Emiliano, per salvaguardare almeno il know – how del personale medico – sanitario del reparto casaranese.

“Bisogna intervenire prima di tutto sui posti letto di rianimazione – dice Neglia – Nel Salento – sottolinea – dove incide quasi 1 milione di abitanti, ci sono 36 posti letto contro la Toscana, la più virtuosa in materia di donazioni, che conta 72, 4 posti letto per milione di abitanti, il doppio della provincia salentina.”
Le rianimazioni pugliesi, non solo hanno pochi posti letto, ma di quelli che ci sono, nessuno è dedicato al paziente cerebroleso, sono rianimazioni polivalenti. Quella di Lecce per esempio, con 15 posti letto ricovera ogni tipologia di paziente: dal politrauma di vario tipo, al bronchitico cronico che si riacutizza, al post operato, gli intossicati, ecc..
In questo marasma dove c’è di tutto e di più, l’individuazione dei donatori è limitata e affidata alla buona volontà dei singoli professionisti. “Sono un medico rianimatore – dice con un sorriso amaro il dottor De Rosa – vado in sala operatoria, faccio le mattine in reparto, i pomeriggi e le notti, dopodicché nel mio tempo libero invece di andare a casa, sono in ospedale a coordinare le attività di recruitmet di organi e tessuti.”

E’ proprio la mancanza di spazi personale dedicato alla donazione, che fa si che durante l’estate la macchina pugliese della solidarietà si fermi. A giugno per fare un esempio, il lavoro della dottoressa Carbonara, verrà sospeso, perché deve rientrare a pieno regime nel reparto di appartenenza: la nefrologia di Lecce, dove non può più assentarsi quelle due volte alla settimana per occuparsi di donazione, perché deve coprire le assenze dei colleghi che vanno in ferie.

C’è da dire tuttavia che qualcosa si sta muovendo per il verso giusto. L’Asl salentina in particolare, è più avanti rispetto alle altre, “il trend delle opposizioni alla donazione, si è abbassato nell’ultimo anno, del 16%” – ha dichiarato la direttrice dell’Asl Lecce, Silvana Melli,

Non basta però, perché a Galatina per esempio esiste un ambulatorio per pazienti in attesa di trapianto o già trapiantati, che eviterebbe i tanti viaggi verso il nord per i controlli pre e post intervento. Peccato che la stessa Asl sembra ignorarlo e non lo fa sapere alla comunità. Esiste infatti la possibilità di prenotarsi presso il cup, ma non esiste una delibera aziendale che istituzionalizzi il servizio ambulatoriale, affidato solo alla buona volontà di medici e infermieri.

Nel centro trapianti di Bari poi, sarebbe fondamentale la figura di almeno uno psicologo, che invece manca per tutte quelle persone che subiscono un trapianto d’organo, così come servirebbe una sala operatoria moderna.

A Scorrano dove c’è l’unico rianimatore formato per il prelievo di cornee, il dottore Domenico Corlianò, l’Asl non ha mai pensato di estendere la formazione e attivare così il prelievo sul territorio. La donazione delle cornee infatti, non richiede la sala operatoria. Pochi sanno che l’operatore ha un kit sterile con il quale potrebbe viaggiare dove c’è necessità: a domicilio, presso una residenza per anziani o in un obitorio e prelevare le cornee, come fanno in Veneto per esempio. “Un sistema del genere – riflette il dottor Corlianò – sarebbe senz’altro un modo per incrementare almeno le donazioni dei tessuti, ma anche in questo caso servirebbe personale dedicato.”
Corlianò invece si vede costretto a garantire i turni nel reparto e quando c’è l’occasione, prelevare le cornee e spedirle alla banca di Mestre, in grado di conservare, analizzare e utilizzare i tessuti. Il Veneto quindi per un accordo con la Puglia, rimborsa il materiale spedito dal sud che impiega per i trapianti e per la ricerca.

Il paradosso però, è che il centro trapianti di Bari, quando deve fare un intervento di cornee, è costretto a chiamare Mestre per avere i tessuti, che magari la stessa Puglia ha inviato.
Anche nella virtuosa Toscana le cornee vengono prelevate fuori dagli ospedali, tramite personale addestrato del 118, che va sul posto e interviene.

“A noi non manca niente rispetto alle regioni del nord – dice Rita Cuna – il materiale umano c’è, quello che serve è una buona organizzazione. Dal 2013 per esempio, è in vigore la legge che stabilisce di esprimere il consenso alla donazione tramite iscrizione sulla carta di identità, in Puglia sono appena 48 comuni che hanno aderito, c’è dunque molto ancora da fare, partendo proprio dai comuni affinché venga firmato da tutte le amministrazioni il protocollo di intesa con il coordinamento trapianti delle Asl; cosicché ogni qualvolta che un cittadino va a rinnovare o fare la propria carta di identità, potrà scegliere se donare o no ed è lì che tutta le generosità di noi pugliesi dovrà farsi valere!”

Roberta Grima
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