L’autismo: conoscerlo per intervenire

L’autismo: conoscerlo per intervenire

La legge
Dopo anni di silenzio, finalmente lo Stato italiano, si pronuncia sull’autismo e con una legge del 5 agosto scorso, stabilisce l’importanza di fare una diagnosi tempestiva del disturbo, con un programma terapeutico riabilitativo personalizzato, un training della famiglia, fino al coinvolgimento delle scuole. Non solo, il governo Renzi impegna il ministero della Salute, a promuovere ricerca di tipo biologico e genetico, riabilitativo e sociale in materia di autismo.
Tutti buoni propositi, che non si sa come realizzarli, visto che Roma non stanzia nemmeno un euro
Intanto in Italia ci sono dalle 350 mila alle 500 mila famiglie ad essere coinvolte dal problema dell’autismo, in Puglia nel 2014, ci sono stati 2.431 ragazzi in età evolutiva con i disturbi dello spettro autistico (ASD)
Ma cos’è esattamente l’autismo ?
Un disturbo dello sviluppo neurologico, è stato definito, caratterizzato da tre principali elementi: una grave difficoltà nell’interazione sociale, nella comunicazione e nel comportamento, che porta alla chiusura, all’isolamento, sino alla totale esclusione dal contesto sociale e relazionale. Non c’è una terapia cliché, si parla infatti di autismi, non di autismo, perché non è sempre uguale, così la terapia non può essere uniforme per tutti, ma va personalizzata. Le cause non sono ancora definite, ma la ricerca è attiva sull’individuazione di fattori determinanti: “sicuramente – afferma il dottor Angelo Massagli neuropsichiatra infantile e responsabile del servizio di neuropsichiatria in età evolutiva di Lecce – c’è una componente genetica, quello che si sa è che c’è un’alterazione biologica delle sinapsi dei neuroni, che genera questo disturbo, ma si sta studiando anche il ruolo dell’ambiente e dell’inquinamento. Una cosa è certa – sottolinea lo specialista – il vaccino non c’entra nulla con l’autismo. I dati che mettono in relazione il disturbo autistico con la vaccinazione trivalente, pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet, sono in realtà falsi, come ha ammesso lo stesso autore Wake Field, che è stato poi radiato dall’ordine dei medici inglese, per aver fatto passare come vera una tesi non dimostrabile scientificamente. La psicosi però tra la gente é rimasta – dice Massagli – molte famiglie non vaccinano più i propri figli, senza capire i rischi a cui vanno incontro. Si è convinti che la vaccinazione è causa dell’autismo, in realtà c’è una suggestione – aggiunge il medico – dovuta al fatto che i sintomi di questo disturbo, compaiono il più delle volte nell’età in cui vengono somministrate le vaccinazioni. D’altra parte in Africa, dove la popolazione infantile non è vaccinata come quella occidentale, è presente l’autismo e cresce in maniera importante.” La ricerca mondiale si è mossa, dimostrando come l’incidenza sia aumentata negli ultimi decenni, cosicché il disturbo dello spettro autistico, è passato da malattia rara, colpendo 5 bambini su 10 mila, a patologia diffusa, con un bambino su 100. Di questo disturbo non si guarisce con medicinali e terapie riabilitative, per cui l’autismo coinvolge la persona per tutto l’ arco della vita.” Questa condizione di totale cronicità, non trova risposte adeguate sul territorio, al meno quello pugliese, limitando gli interventi della famiglia che, passivamente, accetta una realtà definita inguaribile, assumendosi in toto la gestione del figlio.
La testimonianza

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Lo sa bene Lara, mamma di Francesco, un adolescente, nato come bambino precocissimo: “a un anno –ricorda la mamma – riusciva a ripetere le canzoncine e le filastrocche della cuginetta più grande, ha fatto tutto nei tempi sino a 3 anni e mezzo, poi, nel giro di venti giorni, c’è stata una regressione di tutte le sue capacità acquisite e consolidate. Io – racconta Lara – mi ero accorta subito che qualcosa non andava. Ricordo che un giorno gli feci una domanda e lui non mi rispondeva, una, due, tre volte, da allora non ha risposto più a nessun mio interrogativo. Anche le maestre della scuola materna avevano visto mio figlio cambiato e più volte hanno cercato di dirmelo, ma in quel momento ero sfuggente, non accettavo che mio figlio potesse avere dei problemi, proprio perché sino a poche settimane prima, era stato sempre un bambino più avanti degli altri. Così ho fatto l’errore di ritirarlo dalla scuola e ho cominciato a vivere 24 ore al giorno con lui, annullando la mia vita, ho gradualmente rallentato la mia attività professionale e ho cominciato a stimolare Francesco, per fargli recuperare tutte quelle capacità cognitive, che aveva perso. Lui non apprendeva in maniera normale, ma solo in modo meccanico sotto continuo stimolo. Lo portavo al parco, gli leggevo le storie, gli ripetevo le parole, scandivo le lettere, tutto sommato a qualcosa è servito, ma eravamo sempre io e lui in un rapporto simbiotico, perché le famiglie mia e di mio marito, non accettavano che l’unico nipote, fosse problematico. Ero sola a lottare, rendendomi conto pian piano che quello che facevo non era sufficiente, il bambino non riusciva a interagire con gli altri e col mondo circostante. Il suo mondo ero io. Oggi ho capito che sostituirsi a tutto, è stato un errore, come avviene spesso nei genitori di bimbi autistici, perché una madre da sola non può farcela, si creano frustrazioni per lei e per il piccolo, senza ottenere i risultati sperati. Io – continua Lara – ho preso un esaurimento in quell’anno in cui seguivo mio figlio 24 ore su 24, lo lasciavo ad un’educatrice solo per un’ora per fare la spesa, la notte quando lui dormiva e io non prendevo sonno, mi ritrovavo su internet a cercare risposte sui problemi di mio figlio, che altrove non avevo, persino il pediatra cercava di tranquillizzarmi, dicendo che i disturbi di Francesco, sarebbero scomparsi con la crescita. In realtà dopo sei mesi di continua regressione – aggiunge Lara – mi sono rivolta ad uno neuropsichiatra infantile di Bari, che mi ha dato la diagnosi di autismo. Francesco aveva quattro anni e mezzo. Ricordo quel viaggio di ritorno dal Policlinico di Bari, a casa, a Lecce, con la cartella clinica davanti, mentre leggevo per la prima volta che Francesco non era normale. Quel giorno l’ho passato a letto, con i farmaci e avanti così per due, tre settimane, non volevo vedere mio figlio. E’ stata dura per me che sono una perfezionista, abituata ai successi, per due mesi ho seguito delle sedute di psicoterapia, poi ho dovuto rimboccarmi le maniche, facendo fare a mio figlio psicomotricità, linguaggio e terapia occupazionale, a casa con degli specialisti, questo dai quattro anni e mezzo agli otto anni di Francesco. Nel frattempo, mi sono separata da mio marito, che non accettava l’autismo di nostro figlio, l’autismo può unire ancor di più una coppia o farla scoppiare per sempre. Soprattutto quando manca il sostegno delle istituzioni e si è soli ad affrontare una malattia così complessa e più grande di te.”
Gli anni sono passati scanditi tra la scuola, dove Francesco aveva l’insegnante di sostegno e riusciva a contenere i suoi problemi di apprendimento, perché era ancora piccolo, e casa, dove continuava a seguire le sedute di linguaggio, psicomotricità e terapia occupazionale, tutto a carico della famiglia, ma dopo gli otto anni, si è scatenato uno tsunami, quando alle difficoltà cognitive, si sono aggiunte quelle comportamentali. “Ogni volta che Francesco aveva una crisi, sembrava come impazzito – dice la mamma – si trasformava in un animale: sputava, gridava, picchiava anche. Non so quante sedie, tv, ha rotto in casa, è capitato che salisse sul tavolo della sala e con la scopa rompesse il lampadario, la mia vita era un inferno, con lui che lanciava oggetti, facendo volare telefoni, teiere, con il rischio che ammazzasse me o lui stesso, come quando riuscì a buttare per fortuna su un divano, un credenzone in ciliegio che avevo, pesantissimo, di legno massiccio.”
A vederlo oggi, Francesco non lo diresti mai, che abbia potuto fare quello che ha fatto. Occhi verdoni, dolci, un bel sorriso, un ragazzo che oggi ha 12 anni, alto più di un metro e settanta, bello come il sole e capace di trasformare quello sguardo languido, in due occhi aggressivi, iniettati di sangue, con una forza incredibile, che distrugge tutto quello che capita senza ragionare, con una crisi che durava mezz’ora, tre quarti d’ora. “Tanto che – dice ancora Lara – non potevo più portarlo a scuola, quando era seduto in auto, spaccava lo specchietto e lo lanciava, era diventato pericoloso. Servivano dei farmaci, ma il neuropsichiatra non ha voluto prescriverli, allungando i tempi. Poi ho capito che di solito si tende a far così, quando i pazienti autistici sono ancora bambini, per evitare che da adulti debbano poi sottoporsi a terapie ancora più pesanti. Nel frattempo soffri insieme a tuo figlio e così è stato: ho vissuto una lunga e terribile estate quella del 2013 con Francesco, che aveva 7 – 8 crisi al giorno, mentre mio marito andava via, aveva paura, non sapendo gestire questa situazione.” Per fortuna Lara ha poi conosciuto il metodo ABA, il trattamento che gli specialisti indicano come uno dei più adatti per affrontare l’autismo. Lara ha quindi pagato per un anno, terapisti specializzati perché venissero a casa, per sedute di una, due ore alla settimana, con costi in media di 10 mila euro l’anno. Sino a poco tempo fa infatti, l’ABA non era diffuso in Italia, personale formato e supervisori che valutassero il percorso terapeutico, venivano dall’estero, gli utenti come Lara, erano costretti a pagare loro, vitto e alloggio, oltre all’attività sanitaria. Ora cominciano ad esserci specialisti formati anche nel nostro paese. “Francesco ha fatto due anni di metodo ABA – dice la mamma – senza prendere farmaci, abbiamo lavorato tanto, anche solo per farlo sedere al tavolo, è stata una lunga e sofferta conquista, in completo isolamento. Neanche i parenti – dice Lara -venivano a trovarci, i miei amici erano diventati i terapisti. Solo una volta è venuta mia suocera per convincermi di chiudere mio figlio in qualche struttura psichiatrica. Capì che eravamo la vergogna della nostra famiglia, che non potevo aspettarmi nulla e per questo non dovevo mollare, neanche quando nonostante il trattamento ABA, Francesco ha ricominciato con gli sputi, sempre più violenti e frequenti. Un’altra estate infernale stava per arrivare, con un figlio che in alcuni momenti della giornata sembrava un demonio, oggi fatico a pensarlo com’era. I ragazzi autistici spesso urlano, cambiano voce, lo sguarda si incattivisce e il primo bersaglio della loro aggressività è la madre. Ho trascorso l’ agosto 2014, senza che alcuna struttura sanitaria volesse e potesse ricoverare Francesco. I reparti psichiatrici accettano solo adulti, le pediatrie, rifiutano i casi neurologici o psichiatrici, perché non sono attrezzati, dunque non sapevo dove andare. Miracolosamente ho ottenuto il ricovero per mio figlio nella struttura privata di Brindisi, dove Francesco si era sottoposto ai controlli di routine, nel centro di norma vengono accettate brevi degenze, per eseguire delle valutazioni, per cui non erano organizzati ad accogliere Francesco con una degenza prolungata, viste le sue crisi frequenti. Avevo mentito sulle condizioni di mio figlio, pur di trovare una tregua, visto che nel frattempo lui era tornato pericoloso come un anno fa e infatti una sera di settembre, al primo giorno del suo ricovero, Francesco prende una poltrona pesante che era nella stanza e tenta di lanciarla contro di me. Nessuno riusciva a dargli il farmaco che ho dovuto somministrargli io. Dopo di ché, mio figlio venne dimesso. Un volta giunti a casa, Francesco stette meglio, l’effetto del farmaco durò un po’ di giorni, ma aveva comunque un rituale: la sua crisi della sera, in cui doveva ad ogni modo rompere qualcosa, un telefono, una sedia, ma diventavano gesti tollerabili oramai, rispetto a quello che avevo vissuto prima, mi rendo conto che avevo dimenticato la normalità. Quello che per me era normale, in realtà non lo era affatto. L’ho capito solo nella calda estate di un anno fa, quando per la prima volta, sono andata a casa di mia madre e con i miei fratelli ho fatto un bagno al mare. Francesco era seguito nel centro di Matino, specifico per ragazzi autistici, “Amici di Nico” e qui vengo ogni tanto a prenderlo per stare un po’ insieme a lui, ho trovato l’aiuto che mi serviva, non un parcheggio dove rinchiuderlo come voleva mia suocera, ma un trattamento completo, con il metodo che serve a lui per le ore che richiede e che non sono costretta a fargli fare a casa, isolati dal resto del mondo e a mie spese. Ho ripreso la mia vita grazie a persone come Maria Antonietta Bove che ha realizzato una struttura, con personale formato e riconosciuto, quello che l’Asl di Lecce e non solo, non è riuscita a fare e che ha invece fatto la mamma di Nico, una donna che sa cos’è l’autismo.”

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Emiliano--Povero-sanità

C’è da dire però che a livello regionale, qualcosa si sta muovendo in favore di questi ragazzi. Il governatore pugliese Michele Emiliano, ha ripreso il tavolo tecnico sull’autismo costituito nell’ultima fase amministrativa di Vendola e sta portando avanti un piano organizzativo, vista la carenza di servizi sul territorio. “La Puglia nell’autismo – ha detto il presidente della Regione in un incontro a Bari ad ottobre 2015, con le associazioni e gli specialisti neuropsichiatri – è all’anno zero.” Questa problematica, sempre più in estensione, ha per troppo tempo pagato l’errore di una politica fatta solo di assistenzialismo, con contributi alle famiglie dal fondo autonomo regionale, pari a 650 mila euro, per ogni ragazzo autistico, senza offrire null’altro. Non si è mai voluto investire nella formazione, ragione per cui la diagnosi spesso è fatta fuori dalla Puglia, non si è investito nei servizi che ancora oggi mancano. Basti pensare che Lecce, con 1800 bambini autistici, oltre ad altri piccoli affetti da disturbi neurologici, solo da un anno e mezzo, ha un ambulatorio di neuropsichiatria infantile. Sino al 2014, si poggiava su un dipartimento di riabilitazione. Per tutto il Salento che conta 97 comuni, ci sono oggi appena 4 neuropsichiatri, dovrebbero essere 24, 8 invece sono gli psicologi, 5 gli assistenti sociali, 9 i logopedisti e nessun psicomotricista. A questa squadra fanno riferimento 5000 bambini che non sono soltanto gli autistici, ma gli epilettici, gli schizzofrenici e quanti soffrono di patologie neuropsichiatriche infantili.
La situazione non è molta diversa nelle altre provincie pugliesi. L’ambulatorio di neuropsichiatria infantile di Bari, è passato a seguire 403 ragazzini autistici nel 2013, a 600 nel 2014 e lo fa con il lavoro di 3 neuropsichiatri, 5 logopedisti, 7 educatori professionali, dei quali solo tre specializzati nell’autismo. Anche qui i psicomotricisti sono in estinzione. “Siamo la cenerentola della psichiatria – ha detto Cesare Porcelli, direttore dell’ambulatorio di neuropsichiatria infantile barese –basti pensare che con questi uomini a disposizione, devo rispondere ad un territorio di 350 mila abitanti.” Se poi pensiamo alla provincia di Bari con 41 comuni per 1 milione e 200 mila residenti, i numeri sono ancora più scarsi: appena 4 psicologi, dei quali uno a part time, 17 neuropsichiatri infantili, dovrebbero invece essere almeno il doppio. Eppure c’è una delibera regionale, la 1721 del 2012 che definisce l’importanza del ruolo della neuropsichiatria infantile. Nel documento, l’allora assessore alla sanità, Ettore Attolini, scrive tra le altre cose che l’assistenza neuropsichiatrica in età evolutiva, è fondamentale per prevenire patologie che si sviluppano in maniera grave in età adulta, ragion per cui è bene potenziare le unità operative di neuropsichiatria infantile. Già allora Attolini aveva denunciato come si presentava sul territorio la situazione : “Particolarmente critiche appaiono le risposte ai disturbi psichiatrici in adolescenza, soprattutto al momento dell’acuzie” quando cioè il disturbo si manifesta in modo più evidente. Dal monitoraggio regionale effettuato ad Aprile del 2011 sui requisiti organizzativi degli ambulatori, vale dire personale e strutture, è emersa
una grave carenza di tutte le figure professionali nelle varie aziende sanitarie. Le peggiori, le Asl di Foggia e Taranto, dove il personale è pressoché inesistente, mentre il 50% delle sedi è risultato inadeguato, cosi come sono apparsi insufficienti i servizi di neuropsichiatria infantile, per il 50% sprovvisti di arredi, attrezzature e materiale per fare diagnosi. A Lecce per esempio manca l’ADOS, test fondamentale per diagnosticare l’autismo, che viene così “scoperto” tramite una diagnosi privata oppure nei centri specializzati pubblici , ma fuori dai confini salentini.
La grave situazione in Puglia, è stata oggetto degli allarmanti interventi della società italiana di neuropsichiatria infantile della sezione apulo – lucana, che ha evidenziato l’enorme difficoltà da parte dei servizi territoriali, di garantire ai minori ed alle loro famiglie idonea assistenza per le patologie autistiche, per i disturbi specifici di apprendimento e per i disturbi dell’attività e dell’attenzione. Da allora è cambiato poco, nonostante uno stanziamento da parte della Regione, di 2 milioni di euro l’ anno, per potenziare le strutture e dotarle di professionisti e strumenti necessari. Il paradosso è che quella copertura finanziaria che doveva servire soprattutto ad assumere personale, è stata impiegata per altro. Il patto di stabilità infatti, ha bloccato le assunzioni, lasciando di fatto i minori alle loro famiglie, sole ad affrontare un problema così complesso da gestire. Chi può permetterselo, si rivolge ai centri privati accreditati con il sistema sanitario pugliese, strutture che percepiscono 650 mila euro annui a paziente, la somma però viene anticipata dall’utente, al quale poi la regione rimborsa la quota, senza verifica della qualità del servizio sanitario offerto e dei requisiti del paziente autistico, sul quale “cucire” a misura la terapia riabilitativa. Chi invece non ha disponibilità economica, si “aggrappa” a quel poco che offre l’Asl: nei casi meno gravi di autismo, un ora di logopedia e di psicomotricità alla settimana, per le situazioni più gravi e nelle crisi, c’è l’ospedalizzazione. Anche questa inadeguata: ricoverare il ragazzo autistico in psichiatria, dove ci sono adulti e non sono previsti bambini o ragazzi in età pediatrica, oppure rivolgersi ai reparti pediatrici, che però non sono attrezzati per i disturbi neuropsichiatrici come l’autismo. Non esiste quindi una risposta efficiente.

Come recita la recente normativa, ma anche i medici specialisti intervistati, l’autismo andrebbe gestito sotto tanti aspetti che non sono soltanto la semplice difficoltà di comunicare, ma coinvolge tutti i lati della persona: comportamentali, comunicativi, scolastici, affettivi. Uno dei trattamenti indicati e riconosciuti dalla scienza, ma non certo l’unico, è il metodo ABA, perché sia realmente efficace, andrebbe sottoposto al ragazzo per 30 – 40 ore settimanali, almeno così avvertono i neuropsichiatri, cosa che per la maggior parte dei casi non avviene. Che fare allora? La Regione si è detta propensa a creare dei centri sul territorio per poter effettuare la diagnosi dell’autismo e poi per quanto riguarda il trattamento riabilitativo, dove manca il personale nelle Asl, rimandare a strutture private accreditate, previa la verifica dei requisiti e il controllo della qualità del servizio offerto e questo deve essere un impegno da parte di Emiliano, visto che attualmente ci sono strutture “parcheggio”, la maggior parte delle quali non accreditate al sistema sanitario regionale, dove le famiglie non hanno alcuna garanzia sulla qualità dei servizi che trovano. Spesso in questi centri, vengono accolti ragazzi autistici, insieme ad adulti, ragazzi down, persone con disturbi di altro tipo. “Si tratta di patologie completamente diverse tra loro – spiega Giovanna De Carlo, psicoterapeuta specializzata nella gestione dell’autismo – che richiedono trattamenti praticamente opposti, per cui ciò che va bene per gli uni, non è indicato per gli altri.”
Proprio di oggi è la notizia di una delibera di giunta regionale che regolamenta il servizio medico, assistenziale per i ragazzi autistici in Puglia.

Roberta Grima
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