Manca l’aria, sta cominciando a mancare già da diverse settimane, in maniera preoccuapante. Qualche giorno fa, erano tanti i pazienti nel pronto soccorso del Dea, a dover essere ventilati. Il medico ha più volte disposto cambi di barelle, di letti, ha scambiato un postazione con un’altra, il tutto per ricavare erogatori di ossigeno funzionanti e attaccare i ventilatori e i caschi necessari, a chi aveva importanti insufficienze respiratorie.
Mentre il medico era in affanno per salvare vite con quello che aveva, di fronte, a pochi chilometri di distanza, nel reparto di malattie infettive del “Vito Fazzi”, l’infermiere di turno riceveva i tecnici della Air Liquide, la ditta che si occupa dell’erogazione dell’ossigeno e gas medicali, nell’ospedale di Lecce.
I pazienti ricoverati negli infettivi sabato scorso hanno cominciato a ricevere un flusso di ossigeno in quantità ridotta, per la pressione bassa con la quale veniva erogato, tanto da allertare a fine mattinata, la ditta che nel pomeriggo verso le 18,30 ha mandato due tecnici. Questi si sono presentati con due bombole di ossigeno da emergenza. Tre pazienti poi che erano ricoverati e che richiedevano un alto flusso di gas medicale, sono stati spostati altrove. Così facendo, la situazione negli infettivi si è temporaneamente normalizzata e l’allarme è rientrato.
Il risultato della giornata, è quello che si legge nella comunicazione del direttore di reparto dottor Anacleto Romano, che ha scritto ai direttori sanitari di presidio, dottor Maiorano, dell’Asl Roberto Carlà e al direttore generale Rodolfo Rollo. Il primario degli infettivi, ha chiesto di prendere opportuni provvedimenti per l’adeguamento dell’impianto di gas medicale che, nella giornata di sabato, ha registrato una pressione in uscita insufficiente a sostenere le esigenze dei tanti pazienti bisognosi di elevati flussi di ossigeno.
Non solo, il dottor Romano ha anche chiesto ai direttori dell’Asl e dell’ospedale, di poter ricoverare in reparto un numero massimo di trenta persone in ossigeno terapia, perchè superare il limite, significherebbe avere problemi seri con l’ossigeno per i pazienti. A peggiorare la situazione il fatto che i tecnici in caso di anomalie guasti non possono effettuare in reparto la manutenzione dell’impianto, poichè ha un solo riduttore. Al momento la soluzione adottata, è stato il trasferimento di tre pazienti in C-PAP e ventilazione con elevati consumi di gas medicale, presso la pneumologia del Dea, che a sua volta ha ceduto altrettanti degenti agli infettivi, in condizioni meno gravi e che non avevano bisogno di grandi volumi di ossigenazione. Contestualmente sono stati ridotti al minimo i flussi di ossigeno degli altri pazienti in degenza negli infettivi. Questi interventi hanno permesso di allegerire il carico dell’impianto di gas e far rientrare l’allarme.
Gli allarmi suonano di tanto in tanto anche nel Dea, già dall’autunno scorso, ma nelle ultime settimane, si è arrivata ad una situazione tale, da impedire ulteriori ricoveri, nonostante gli ampi spazi dove poter incrementare il numero dei letti, proprio per l’ossigeno insufficiente. Le ambulanze del 118 vengono dirottate a Galatina, che invece non potrebbe ricevere pazienti Covid gravi, per l’assenza di terapia intensiva.
Purtroppo nei reparti, sono tante le persone che usano ventilatori, C-PAP, che hanno bisogno di essere intubate, ma la rianimazione Dea per esempio, unica Covid per tutto il Salento, può arrivare non oltre una trentina di pazienti, troppo pochi in questo momento pandemico, ma aumentare le degenze, forse sarebbe un rischio per la carenza di gas medicali.
Che l’impianto d’ossigeno del Dea, avrebbe potuto dare problemi, lo stiamo scrivendo da un anno, con un inchiesta giornalistica iniziata proprio da SanitàSalento l’11 marzo 2020, quando l’Asl fece smantellare i serbatoi della centrale criogenica del Dea, modificando il sistema di distribuzione dei gas medicali e alterando il progetto originario. L’azienda sanitaria salentina all’epoca, decise di aprire il Dea non con l’impiego della centrale criogenica autonoma e già collaudata, prevedendo l’installazione due serbatoi come da progetto approvato, bensì facendo costruire una condotta di collegamento dal Dea all’impianto di gas medicali del “Fazzi”.
Dopo l’articolo segui un esposto alla magistratura della consigliera regionale Laricchia e successivamente di Andrea Guido esponente di Fratelli di Italia al comune di Lecce. Ci furono nel tempo diversi sopralluoghi da parte della guardia di finanza, l’ultimo poche settimane fa.
Nel frattempo due plessi ospedalieri erano serviti di ossigeno, da una sola centrale criogenica, quella vecchia del “Fazzi”, con una tubazione non a norma e un sistema non collaudato, senza cioé quelle verifiche preliminari necessarie, ad avere anche il certificato di prevenzione antincendi da parte dei vigili del fuoco, che infatti non hanno rilasciato. Il collaudo sarebbe soprattutto servito a capire se con la variazione fatta all’impianto, ci sarebbe stata pressione sufficiente a distribuire in quantità giusta l’ossigeno necessario ai reparti di entrambi gli edifici. Nulla di tutto ciò è stato fatto durante la pandemia, ma anche dopo, alla fine della prima ondata, della seconda e ora che stiamo vivendo la terza ondata non c’è stato al momento alcun collaudo dell’opera realizzata.
Si è invece deciso, complice forse la campagna elettorale di questa estate, di andare avanti con un impianto di ossigenazione così come era stato modificato a marzo 2020, senza collaudo e certificazione dei vigili del fuoco. Le ragioni che hanno indotto l’azienda sanitaria a questa scelta – si legge nella nota tecnica dell’Asl – sono da rintracciare esclusivamente nell’emergenza pandemica, che ha richiesto una disponibilità immediata di gas medicali nel Dea. Bisognava fare presto e i tempi non erano compatibili con quelli previsti dalla società Air Liquide, che in quel momento avrebbe dovuto soltanto installare due serbatoi nella centrale del Dea, per partire con i ricoveri. La società però, fece sapere che prima di una ventina di giorni, un mese, non era nelle condizioni di intervenire, per un’altra procedura in atto fuori regione, sempre a causa della pandemia in corso.
Come dire che una multinazionale non aveva all’epoca due tecnici, che potessero montare due serbatoi nella centrale del Dea di Lecce e poter affrontaree in sicurezza il Covid. Dopodicché l’azienda sanitaria poteva vista l’emergenza, chiedere un intervento urgente alla Rivoira, azienda costruttrice dell’impianto criogenico del Dea, che era sul posto per il collaudo con un serbatoio già posizionato in centrale per la prova tecnica. Era sufficiente un secondo serbatoio, tempo pochi giorni per mettere nelle condizioni di ricoverare pazienti nel Dea.
Invece l’Asl fa smatellare il serbatoio presente per le prove tecniche, chiede ad una terza ditta di realizzare un tubo di collegamento tra il Dea e la centrale di gas del “Fazzi”, impiegando soldi e una decina di giorni prima di attivare il plesso ospedaliero. La tubazione doveva essere un intervento temporaneo – c’è scritto nella nota tecnica Asl – tanto é vero che non c’è alcuna autorizzazione da parte dell’azienda sanitaria a varianti di progetto.
Di fatto la soluzione del collegamento tra i due plessi, adottata in emergenza, temporanea, é a distanza di un anno, tutt’ora in funzione con gli effetti che racconta il personale sanitario dei vari reparti: ossigeno insufficiente non solo nel Dea, ma anche nel “Fazzi”. Eppure l’impianto originario del Dea, quello realizzato dalla ditta Rivoira, già collaudato, a norma, se messo in funzione, avrebbe oggi consentito di adeguare la capacità di ossigeno, incrementando i volumi, visti i grandi consumi di questa pandemia. A scriverlo nero su bianco, il responsabile della realizzazione di quell’impianto originario, l’ingegnere Magnanimo.
Invece la condotta di collegamento per il gas, ha reso due ospedali un unico blocco la cui erogazione di ossigeno é stata affidata a chi aveva già l’appalto per la fornitura al “Fazzi”.
Di contro, l’ingegnere Magnanimo fa notare in una sua relazione, che il fatto di poter avere due centrali criogeniche: una del “Vito Fazzi” e un’altra autonoma per il Dea, avrebbe dato maggiori sicurezza, perchè interrompendosi una, ci sarebbe stata sempre l’altra, senza correre il rischio di mandare in black out un intero sistema ospedaliero.
Nel frattempo il direttore Rollo, dopo aver fatto fare l’opera di collegametno tra la centrale del “Vito Fazzi” e il Dea, pochi mesi fa, ha chiamato come consulente su questa vicenda, proprio l’ingengere Magnanimo che adesso sta lavorando da qualche settimana, per rispristinare il progetto originario il prima possibile e sopratutto in tutta sicurezza. Si corre ai ripari dunque, contestualmente ha preso in mano il servizio di erogazione di gas negli ospedali, un’altra ditta che non è più la Air Liquide, bensì la Sapio, vincitrice della nuova gara d’appalto per la fornitura di ossigeno. La nuova impresa trova non poche difficoltà ad avere tutta la documentazione necessaria da chi l’ha preceduta e che lo stesso Magnanimo ha chiesto alla Air Liquide senza ancora ottenerla.
Sono tanti gli interrogativi su questa storia, uno se l’è posto la consigliera regionale del movimento cinque stelle Antonella Laricchia, che a distanza di un anno dall’esposto presentato in procura, in attesa che la magistratura dia lumi, ha scritto nei giorni scorsi un’interrogazione alla giunta regionale e in particolare all’assessore pugliese al ramo, per sapere per quali ragioni l’azienda sanitaria ha ritenuto necessario realizzare una condotta di collegamento tra la centrale criogenica del “Vito Fazzi” e il Dea, anzicchè posizionare due serbatoi nella centrale del Dea stesso.
L’altro punto per il quale la consigliera chiede al governo pugliese chiarimenti, è se l’azienda sanitaria salentina abbia individuato eventuali responsabili, infine se si conosce la tempistica per realizzare gli interventi da fare, individuati dal professor Magnanimo, perchè si possa ripristinare il progetto originario.
Mentre si aspettano risposte dall’Asl e dalla magistratura, medici, infermieri e Oss si barcamenano come possono per salvare vite umane con quello che hanno, i pazienti Covid non possono aspettare, i tempi delle istituzioni, sono diversi da quelli ospedalieri e la gente rischia di morire.
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