I medici di Lecce dichiarano lo stato di agitazione e minacciano lo sciopero: non possono ricoverare per insufficienza di ossigeno nei reparti dell’ospedale Covid e non solo. Il risultato é un affollamento di persone in pronto soccorso, in attesa di un ricovero. A peggiorare la situazione, il ridimensionamento del numero dei letti nei vari reparti, dovuto al distanziamento sociale tra una degenza e l’altra.
L’allarme arriva dalla FISMU (federazione italiana sindacale medici uniti). “Lecce- scrive il dottor Raffaele Gaudio della segreteria aziendale FVM-FISMU, nonché responsabile nazionale FVM-FISMU – é letteralmente travolta dall’emergenza Covid. Il pronto soccorso del Dea, non riesce a far ricoverare i pazienti nei reparti dell’ospedale Covid di Lecce, perché l’ossigeno semplicemente non basta. La centralina di controllo suona e dà l’allarme quando il livello di ossigeno si abbassa sotto il limite, segnalando l’impossibilità di garantire volumi di gas medicale, oltre una certa soglia.”
In effetti dal quarto piano dove si trova la pneumologia Covid, ci hanno riferito che i medici devono limitarsi a ricoverare, mantenendosi tra i 20 e i 25 pazienti, pur potendo ricevere sino a 60 persone.
Non sappiamo se questo sia normale in un presidio che non è nato per il Covid, capace di accogliere contemporaneamente più persone bisognose di grossi volumi di ossigeno. Sappiamo però, che questa storia risale a quasi un anno fa, quando noi stessi di SanitàSalento, abbiamo più volte scritto che i medici che lavorano nel Dea, hanno notato anomalie relative proprio ai flussi di ossigeno. Sin dall’estate scorsa ci avevano riferito che i presidi per ventilare i pazienti non funzionavano al meglio, perchè degli appositi palloncini, che di norma si dovrebbero gonfiare d’aria per trasferirla al paziente, non si gonfiavano appieno. Non solo, sempre mesi addietro scattava più volte l’allarme nella centralina del Dea, ad indicare l’abbassamento del livello di gas medicale. Ciò é stato notato l’estate scorsa nella pneumologia del Dea, ma anche qualche mese fa nella rianimazione dello stesso plesso e nella medicina di urgenza al piano terra pochi giorni fa.
A conferma di tutto questo, una relazione tecnica che risale a novembre scorso, per mano dell’ingengere Alfredo Magnanimo. Il professionista é tra i responsabili della realizzazione dell’impianto di gas medicali nel Dea che l’asl ha poi fatto modificare con un raccordo collegandolo alla centrale dei gas medicali del “Fazzi”. L’ingegnere sostazialmente dichiara che ripristinando l’impianto del Dea come da progetto originale, sarebbe possibile adeguare i flussi di ossigeno, alle nuove esigenze Covid. Magnanimo sollecita in sostanza l’azienda sanitaria ad attivare la centrale di gas medicali del Dea, nata per funzionare autonomamente, senza collegarsi a quella del “Vito Fazzi”, ma funzionando con i propri serbatoi.
“Ci sono i letti, ma dobbiamo limitare i ricoveri”
L’azienda sanitaria però, non ha ancora ripristinato l’impianto originario, ma ha lasciato che nei reparti Covid si utilizzasse l’ossigeno, attingendolo dal “Fazzi” attraverso una condotta di collegamento. Così, mentre Michele Emiliano inaugura i 16 posti di rianimazione respiratoria nella penumologia del quarto piano del Dea, i medici ci raccontano che proprio lì, ci si deve limitare nei ricoveri, perché l’ossigeno non basta.
Eppure il presidente della Regione ha dichirato che in Puglia gli ospedali non sarebbero in sofferenza. Non solo, ma alla domanda se i 16 posti letti inaugurati al quarto piano del Dea, fossero a tutti gli effetti operativi, Emiliano ci aveva assicurato di sì, anche perchè – come dice lui stesso nella videointervista – “l’asl sa perfettamente che non si fanno inaugurazioni se non c’é operatività del servizio. Quindi – conclude il presidente – se mi hanno fatto venire qui al Dea, è perchè la gente può essere ricoverata.”
La realtà però raccontata dal personale sanitario è un’altra. “Il numero dei letti Covid nel Dea sono realmente e non sulla carta – scrive il dottor Gaudio – 24 nella pneumologia Covid, 7 nella sub-intensiva Covid (dei 16 previsti), 20 massimo nella rianimazione, per un totale di 50 posti letto circa come massima recettività. Ben lontano dai 120 annunciati dall’azienda sanitaria.
I problemi dell’ossigeno ce l’hanno anche negli infettivi del “Fazzi” che come detto divide l’ossigeno con il Dea e l’oncologico, attingendono il gas medicale dalla stessa centrale. “Nelle malattie infettive di Lecce, a corto tra l’altro di personale medico – si legge nella nota della FISMU – ci sarebbero 40 letti da destinare però a pazienti che hanno necessità almeno iniziali, di bassi flussi di ossigeno, proprio per i problemi riscontrati nell’erogazione del gas medicale.
I posti nelle malattie infettive e medicina Covid di Galatina invece, sono in tutto, massimo 35. Nel “Santa Caterina Novella” si aspetta ancora la rianimazione ferma al palo, motivo per cui i casi Covid più gravi, non possono essere ricoverati e sono per questo dirottati al Dea, che però si riempie subito.
Una sanità in guerra – dice il dottor Gaudio – che vede in enorme difficoltà medici e infermieri non soltanto nel Dea, ma anche negli altri ospedali che devono ricoverare persone no Covid. A partire dal pronto soccorso del “Fazzi”, che da tempo oramai, vive una situazione insostenibile, per cui i pazienti sostano anche per venti giorni, in attesa del ricovero che tarda ad arrivare per assenza di letti disponibili.
Non è solo l’ossigeno insufficiente e il distanziamento tra un posto e l’altro ad aver dimezzato i letti nei reparti, c’è anche un grosso ritardo nella realizzazione di lungodegenze come quella di Campi, che servirebbe a sfollare gli ospedali dai ricoveri per lunghi periodi. C’é un ritardo nell’adeguamento dello stesso pronto soccorso del “Fazzi”, che funziona sempre nella medesima sede che doveva essere temporanea, ma che di fatto è operativa da 15 anni, senza – ricorda Guadio – locali adatti a garantire per esempio il distanziamento sociale. In questo periodo in cui il pronto soccorso si affolla per la carenza di posti letto, la situazione é drammatica, sopratutto perchè a garantire l’assistenza é sempre lo stesso personale, che lavorava anche in tempi no Covid e che non é mai stato potenziato.
Lo stesso numero di medici e infermieri che deve dividersi tra il pronto soccorso del “Fazzi” e quello del Dea, dove si arriva ad avere un vero e proprio reparto di degenza con decine di pazienti che stazionano per settimane. Persino la medicina di urgenza nel Dea, pensata come zona grigia dove collocare i casi Covid leggeri o sospetti, proprio per svuotare il pronto soccorso, é arrivata a 12, 13 pazienti in stallo e in attesa anche da venti giorni per essere ricoverato.
“Lo scenario – continua il dottor Gaudio – è di una doppia emergenza sanitaria: Covid e non Covid, con un clima tra i medici ospedalieri, assolutamente di totale insoddisfazione, rabbia e ai limiti della rassegnazione.” Non si è nelle condiozni di lavorare e per di più – dice il medico – manca l’assegnazione degli incarichi che tardano ormai da 12 anni. Così in questo tirare a campare, con passerelle inaugurative e fiction, lo sdegno dei dirigenti medici ha ampiamente debordato e per questo proclamano lo stato di agitazione”
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