Difficile attrarre i giovani medici che lavorano all’estero, per farli rientrare e colmare la carenza di personale negli ospedali italiani. La proposta dei consiglieri regionali di direzione Italia, può apparire di buon senso, ma forse non basta.
Riconoscere il lavoro sanitario svolto all’estero
“Per risolvere il problema ormai tragico della mancanza di medici in Italia, non solo in Puglia – scrivono i consiglieri: Ignazio Zullo, Luigi Manca, Renato Perrini e Francesco Ventola, servirebbe ovviare all’obbligo ‘della specializzazione’ (DPR 483/97), facendo rientrare in Italia giovani che da anni lavorano all’estero, riconoscendo il servizio prestato fuori, non solo per i medici, ma anche per: veterinari, farmacisti, odontoiatri, biologi, chimici, fisici e psicologi. I professionisti farebbero quindi solo un esame finale, prima di entrare nel mercato del lavoro in Italia
Una proposta che allineerebbe l’Italia, alle altre nazioni europee, dove i medici laureati, lavorano subito dopo, senza la necessaria specializzazione che invece possono acquisire contestualmente al servizio prestato.
Stessa regola per chi lavora nelle cliniche italiane
E i colleghi italiani? Verrebbe da chiedersi. In Italia i medici non possono lavorare se prima non si specializzano, “a meno che non svolgano dopo la laurea, la loro attività nel privato – aggiunge Ignazio Zullo -. In questo secondo caso, la mozione presentata, vale anche per i professionisti che lavorano in Italia, ovvero verrebbe riconosciuto loro il servizio prestato nelle strutture private, ai fini della specializzazione, con un esame finale.”
Chi non lavora in Italia resta al palo, fino alla specializzazione
Il problema è per quei professionisti laureati, che non avendo la specializzazione per numero chiuso nelle università, non possono lavorare negli ospedali pubblici e però non lavorano neanche nelle cliniche private.
“Presso il ministero della salute – ricorda Ignazio Zullo – si è discusso sulla possibilità di arruolare personale negli ospedali, anche senza specializzazione, riconoscendola dopo anni di servizio garantito in corsia, pari al corso di specializzazione. In questo modo si coprirebbero le carenze di medici per esempio. Su questa eventualità però – aggiunge Zullo – i sindacati si sono giustamente opposti, perché a loro modo di vedere, si creerebbe una discriminazione tra specializzati e non.”
Aumentare le scuole di specializzazione, per incrementare il numero di professionisti
Più possibilità nell’accesso alle scuole di specializzazione quindi, per dare possibilità ai professionisti italiani di lavorare negli ospedali. “Non significa però – sottolinea Zullo – abolire il numero chiuso nelle scuole di specializzazione. Ciò sarebbe un grave errore, perché si formerebbe un esercito di laureati per i quali non ci sarebbero docenti e scuole sufficienti. Meglio sarebbe aumentare l’offerta formativa, per esempio clinicizzando gli ospedali di secondo livello della Puglia. Le università potrebbero fare delle convenzioni con i nosocomi, non con alcuni reparti, ma con le strutture ospedaliere nella loro completezza”
La proposta dei consiglieri, sarebbe più urgente per coloro che sono in Italia, perché i colleghi che lavorano all’estero, si trovano in una situazione evidentemente migliore sia come organizzazione, che come stipendio e difficilmente sarebbero attratti a rientrare nel loro paese. Più facile migliorare le condizioni di quei professionisti in Italia, che sono in una sorta di limbo: laureati, ma senza specializzazione e quindi disoccupati.
I consiglieri di direzione Italia però, vorrebbero che intanto la loro proposta, a beneficio dei medici in servizio all’estero, già approvata all’unanimità dal consiglio regionale, fosse presentata all’attenzione del ministro della salute Grillo, da parte degli esponenti del movimento 5 stelle.
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