Una rete oncologica regionale, per frenare un terzo dei pugliesi che si cura fuori

Una rete oncologica regionale, per frenare un terzo dei pugliesi che si cura fuori

Si corre ai ripari in Puglia, da dove gli ammalati di tumore continuano a intraprendere i viaggi della speranza verso il nord. La regione pugliese infatti, ha fatto tappa ieri a Lecce, per presentare, tramite il dottor Surico, la rete oncologica regionale, durante l’evento organizzato dalla FAVO, (federazione delle associazioni di volontariato in oncologia).

Il nostro territorio registra purtroppo un indice di mobilità passiva per il trattamento delle malattie neoplasiche, che nel 2017 si attestava per i soli ricoveri, a circa 6000 degenze fuori regione, pari al 13 % dei ricoveri su pazienti pugliesi per malattia neoplastica, stando ai dati di Aress. A ciò si aggiungono i dati riferiti a chi viaggia, per sottoporsi a visite mediche ed esami strumentali, sempre per patologie tumorali.

Rimanendo ai soli ricoveri, emerge che i pugliesi si ricoverano negli ospedali del nord, sopratutto per interventi sui tumori della tiroide, il 31% dei pazienti con neoplasia maligna tiroidea, si fa operare fuori dalla Puglia, segue il tumore all’encefalo con il 27% delle persone ammalate, che sceglie i centri settentrionali, il tumore del fegato e dei dotti alle vie biliari, per il quale il 21% dei pugliesi affetti dall’epatocarcinoma, si rivolge fuori dal territorio pugliese. (dati Aress Puglia 2017 http://www.motoresanita.it/wordpress/wp-content/uploads/2018/07/Lucia-Bisceglia.pdf )

La meta più gettonata è la Lombardia, soprattutto per gli interventi sul tumore al seno, per il quale l’Asl salentina ha registrato una mobilità passiva pari al 71%, ovvero il 71% delle donne che nel 2017 dovevano sottoporsi all’operazione chirurgica, hanno scelto di affidarsi alle strutture dislocate tra Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, con il tasso più alto tra le asl pugliesi, dopo Bari e Foggia con il 73%.

Anche il tumore al colon rappresenta una malattia per la quale i pugliesi vanno fuori, l’asl salentina registra il 45% della mobilità passiva, ma la percentuale più alta é a Taranto con il 75% dei pazienti ammalati, che emigrano.

Quanto al tumore del fegato e vie biliari, la Puglia non se la passa bene neanche in questo caso, che vede migrare i propri pazienti nel centri di riferimento di Padova. Nel 2017 sono partiti per il nord e non solo per il Veneto, 20 pazienti dall’Asl di Bari, solo per interventi chirurgici, 24 da Foggia e 27 da Lecce con, rispettivamente, l’89% e il 77% della mobilità passiva.

Infine il tumore al polmone che spinge i pugliesi sopratutto in Lombardia per intervento chirurgico, con un tasso di mobilità passiva pari a 51% dall’Asl barese, 78% dalla Bat, il 57% dall’asl di Foggia, il 43% dei pazienti che devono operarsi provengono invece dall’Asl leccese, il 35% dall’azienda sanitaria di Brindisi e il 71% da quella di Taranto.

Percentuali che in termini di spesa, costano alla Puglia 32mila euro solo per i ricoveri effettuati nel 2017, fuori dalla Puglia per malattie tumorali, che tradotto significa circa il 15% sulla mobilità passiva sanitaria in generale.

I dati dell’Aress, mostrano come la gente della Puglia si rivolge fuori regione non per interventi o prestazioni particolarmente complesse, ma per ricoveri o interventi di routine, quelli che vengono definiti livelli essenziali di assitenza.”Eppure – ha evidenziato il dottor Giammarco Surico, oncologo e coordinatore della rete oncologica pugliese – nei nostri ospedali ci sono le professionalità, le apparecchaiture, quello che invece manca, é piuttosto una organizzazione a rete, dove i medici si integrano tra loro, portando ognuno la propria specializzazione e competenza, facendo squadra a beneficio del paziente. Fare rete significa – ha aggiunto Surico – prima di tutto togliere dalla mente il concetto medicocentrico, per far posto ad una visione multidisciplinare, creando così un percorso, ovvero una presa in carico della persona ammalata, che in un solo accesso, trova tutti gli specialsiti e quindi tutte quelle prestazioni necessarie al suo caso, senza dover prenotare ogni volta la singola prestazione medica.” Proprio ques’ultima procedura, fa si che si perda invece tempo prezioso, che il paziente non può sopportare preferendo così andare fuori.

Oggi, se un paziente oncologico, deve sottoprosi ad una tac o ad un’ecografia con mezzo di contrasto, deve prima prenotare la visita dall’oncologo, poi questo prenota l’esame per il paziente presso la radiologia, dove deve sollecitare per stare nei tempi. Le apparecchaiture infatti, lavorano a singhiozzo per mancanza dell’anestesista, così come le sale operatorie del Fazzi, che a dire del chirurgo toracico, dottor Di Rienzo, capo dipartimento di oncologia salentina, degli oncologi, non sono sempre sufficienti, servirebbero sale e personale dedicato, che ridurrebbero i tempi di attesa.

Qualcosa però è stato fatto, a Lecce si è cercato di potenziare la radiologia territoriale con ecografi e mammografi, risonanze, proprio per lasciare le apparecchiature degli ospedali, ai pazienti ricoverati, più gravi, come quelli oncologici. C’è ancora da fare però, perché proprio nel capoluogo salentino, é rimasto ancora un mammografo di ultima generazione, acqusitato l’anno scorso e fermo, chiuso nell’ex dispensario antitubercolare di via Miglietta, in attesa che si apra l’edificio ristrutturato in poliambulatorio e che ancora non è dato sapere quando aprirà.

E’ partita poi, anche la procedura per attivare lo screening di prevenzione del tumore al colon, per il quale la Puglia è allo zero%, mentre al 23% come adesione per lo screenng per il tumore alla mammella.

Sempre nell’Asl salentina é stato attivato orami da diversi mesi, un sistema di prenotazione dedicato, valido anche per quei pazienti seguiti dai centri fuori Regione, cosa che prima non c’era. Inoltre, si stanno completando le nuove strutture sanitarie, come il caso del DEA di Lecce, dove, dopo un periodo di stallo, é stata data un’accellerata che porterà all’attivazione di 12 sale operatorie, ma intanto si continua ad operare su cinque, invece di sette, perchè due sono da ultimare da circa sette anni e i tempi di attesa si allungano anche per questo. La gente dunque va fuori sorpatutto per i tempi non compatibili con le esigenze di un malato oncologico.
“La rete oncologica – ha sottolineato il direttore dell’Asl leccese, Ottavio Narracci, dovrebbe accellerare i tempi e rendere gli accessi più appropriati. Un’esperienza simile era stata già fatta in Salento con le reti oncologiche, poi si è arenata.” Probabilmente proprio per la difficoltà tra medici di fare squadra.

Con l’attivazione di questa nuova rete oncologica, ispirata al modello piemontese, verranno individuati dei centri dedicati, presumibilmente entro dicembre, “saranno 18 in tutta la Puglia – ha speigato il dottore Surico – in Salento in particolare saranno Lecce, Gallipoli e Tricase dove, con un numero verde, si potrà prenotare ed essere quindi presi in carico, in tempi rapidi e preferenziali, sia dal punto di vista medico che amminsitrativo, per cui verrà attivata subita l’esenzione ticket per il paziente, non appena viene certificato il sospetto di un tumore.” Nei centri di riferimento oncologici, ci sarà quindi un’equipe multidisciplinare che si prenderà cura del paziente oncologico, sarà presente: un infermiere, un oncologo, un assistente sociale, uno psicologo, un impiegato amminsitrativo e dei volontari. Inoltre si sta pensando anche di effettuare una convenzione con l’INPS per la richiesta di pensione di invalidità da parte di pazienti oncologici.

L’evento di ieri era aperto a tutti, anche a pazienti e associazioni, rappresentate dalla presidentessa del comitato consultivo misto Rita Tarantino. “Quello che si presenta questa sera – ha detto la Tarantino – é un buon auspicio, ma stiamo parlando di futuro, il presente é ben altra cosa: oggi mancano per i pazienti oncologici i percorsi, la gente non sa dove andare e da chi, per ottenere in tempi rapidi un determinato servizio.”

Dalla sala è intervenuta anche una donna ammalata di tumore perchè colpita da sarcoma alla coscia che ha curato fuori regione. “Mi sono vista costretta a emigrare – ha detto – non ho scelto perchè sfiduciata delle professionalità locali o per un capriccio o perchè avevo possibilità economica di scegliere o perchè istruita, mi sono documentata, sono andata a curarmi fuori, semplicemente perchè a Lecce mi hanno sbagliato la diagnosi.” Serve anche un controllo serio sulle competenze professionali dunque, non basta fare numeri per dire che un medico é bravo e ha esperienza, perchè come ha detto anche il presidente dell’ordine dei medici Donato De Giorgi – non bastano i numeri e la mole di lavoro e di interventi, per individuare un’eccellenza. Fare tanti interventi – ha detto De Giorgi – non è sinonimo necessariamente di qualità di un servizio. Attenzione quindi a leggere bene i dati. La qualità di un servizio si misura con il rispetto da parte del chirurgo delle linee guida nazionali e internazionali che dettano le regole base, per operare e comportarsi per un professionista.” Se si opera un novantenne che secondo i protocolli medici non dovrebbe andare sotto i ferri, evidentemente si fa per fare numero e questo non è certo un esempio di eccellenza. Certo la rete oncologica é un’iniziativa che ci porta sulla direzione giusta, ma è importante coinvolgere nella rete la figura del medico di base”

Roberta Grima
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