La rabbia e il peso della disabilità

La rabbia e il peso della disabilità

“La disabilità é quella che si vede, la persona sulla sedia a rotelle, almeno nell’immaginario comune, senza pensare che c’é anche una disabilità invisibile, che si fa sentire molto di più forse, di quella evidente e questo fa male.”
Così si sfoga Fabiana, donna combattiva, zia di quattro nipoti, dei quali uno, Leonardo, di quasi 9 anni, affetto da epilessia e disturbo dello spettro autistico. “A chi è seduto su una sedia a rotelle – dice Fabiana – é perdonato tutto, i genitori di quel ragazzo che non può camminare, sono giudicati come persone straordinarie, ma se io esco con mio nipote al supermercato e lui ha una crisi, per cui urla e si dimena, c’è chi é pronto a giudicarlo come una ragazzino maleducato e io passo per l’adulto che non insegna le buone maniere, spesso sento gli sguardi addosso di chi é infastidito dal comportamento non “omologato” di Leonardo, o di chi capisce che mio nipote é una bambino strano, forse pazzo, diverso, dal quale é meglio stare lontano, non si sa mai…

La cosa che mi fa più rabbia – continua Fabiana – è che questo atteggiamento non te lo aspetti dai genitori stessi del bambino, che non accettano la sua disabilità. Mia sorella, la mamma di Leonardo, vorrebbe che suo figlio scrivesse, ma lui non é capace ad oggi, sino a poco tempo fa, lei tendeva a chiudersi, evitando di uscire persino per mangiare una pizza con noi familiari, perché suo marito soprattutto, ha tutt’ora paura che il bambino vada in escandescenza da un momento all’altro, alla fine non si rende conto che questo comportamento, fa si che l’intera famiglia viva come un autistico, chiusa senza comunicare verso l’esterno e ciò può fare solo del male al bambino.

Certo – continua Fabiana – se non ci fossero gli occhi addosso della gente, tutto sarebbe più semplice anche per i genitori, che non avvertirebbero il peso e la vergogna della disabilità del proprio figlio. Penso però che bisogna lasciar perdere la gente che ti guarda, perché tuo figlio é “diverso”, la disabilità di mio nipote, come quella di tanti ragazzini, andrebbe vissuta per quella che é e invece si vive con ansia. Vedo tante mamme che vanno a prendere dal centro riabilitativo i propri figli, già tese, con i volti tirati, prima ancora di vedere i loro bambini, pensando a cosa accadrà da lì a qualche minuto, sperando che il bambino non abbia una delle sue ennesime crisi.

Io ho 4 nipoti – dice Fabiana – gli altri tre, sono sani, inteliggenti, svegli, ma chiusissimi di carattere, per avere un gesto affettuoso, un bacio, devi supplicarli, Lorenzo è il solo ad essere dolce, con slanci affettuosi, in questo è più “normale ” dei suoi cugini, che non riescono neanche a giocare tra loro fratelli, tanto sono solitari.

Mia sorella e mio cognato – continua Fabiana – cercano una normalità che non c’é, non capiscono che questa normalità devono trovarla nell’ambito della stessa disabilità di Leonardo, su canali che non sono quelli a cui é abituata la maggior parte di noi. Si tratta di accettare Leonardo così come è, mediando tra la giusta pretesa di una madre che chiede al figlio rispetto di determinate regole e la capacità di andare incontro alle esigenze del figlio con epilessia e autismo, trattarlo cioé come un bambino “normale”, sapendo però che “normale” non è e quindi mettere in conto, senza ansia da prestazione, che potrebbero esserci dei momenti “NO”.

Un equilibrio difficile da conquistare, ma che darebbe serenità al bambino e alla famiglia che rischia di isolarsi e quindi sgretolarsi, se non viene supportata dagli esperti psicologi, che ovviamente devono essere retribuiti a spese proprie e se accanto a loro, non c’é una mentalità diversa di pensare alla disabilità, che é anche quella invisibile, che non si vede su una sedia a rotelle e che non va pensata come cosa al di fuori del proprio mondo, perché fa parte di questo mondo.

“Mi rendo conto che è molto difficile, ci vuole tempo per maturare l’idea, superare i sensi di colpa che può avere una madre. Non é facile – conclude Fabiana – se poi attorno non c’é nessuno che ti aiuta, questi genitori sono fondamentalmente da soli, le istituzioni sono assenti”, le competenze mediche sono poche e non sempre messe nelle condizioni di lavorare, così madre e padre combattono contro una burocrazia che può negare la scuola al figlio perché manca la documentazione dell’insegnante di sostegno o non é in regola, lottano contro uffici che non danno informazioni utili e tempestive per avere i farmaci in maggiore quantità o per sapere se viene pagata o no la retta nel centro diurno di riabilitazione, da parte del sistema sanitario pugliese.

Tutto ciò si ripercuote sulle relazioni familiari, sociali, ma sopratutto su un bambino come Leonardo con gli occhi ridenti quando vede la mamma all’uscita di scuola, che adora la coca cola e giocare con le automobiline, proprio come i suoi coetanei di quasi 9 anni.

Roberta Grima
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